Suicidio assistito, il governo contro Cappato: «Portare a morire in Svizzera un malato resta reato, si potenzino le cure palliative»

La Corte costituzionale è chiamata a esprimersi sul caso di Massimiliano, 44enne affetto da sclerosi multipla morto a dicembre 2022. L’Avvocatura dello Stato: «No a interpretazioni estensive»

A quali condizioni è possibile nel nostro Paese accedere al suicidio medicalmente assistito? Nel vuoto legislativo, la strada stretta l’ha indicata dal 2019 la Corte costituzionale con le sentenza sul caso Cappato-Dj Fabo, con la quale è stato stabilita per la prima volta la possibilità di accedere a tale trattamento ad alcune precise condizioni: che la persona che ne fa richiesta sia capace di autodeterminarsi, che sia affetta da patologia irreversibile, che questa sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. In questi giorni però la Corte è chiamata a esprimersi nuovamente sulla materia, dopo che ancora una volta l’Associazione Luca Coscioni ha provato a “forzare il sistema”, quando il suo tesoriere Marco Cappato ha accompagnato in Svizzera per sottoporsi a suicidio medicalmente assistito, Massimiliano, un 44enne toscano affetto da sclerosi multipla. Una persona affetta dunque da malattia degenerativa, ma non dipendente da trattamenti di sostegno vitale (l’uomo morì poi l’8 dicembre 2022). Rientra anche quest’azione di disobbedienza civile nell’ambito delle possibilità aperte dalla sentenza del 2019? In attesa che sulla questione di costituzionalità si pronuncino i giudici – probabilmente venerdì – a dire la sua oggi è l’Avvocatura dello Stato, che si è costituita nel processo di fronte alla Corte in rappresentanza della presidenza del Consiglio. La tesi del governo dunque, come emerso dalla relazione introduttiva svolta dai giudici relatori in apertura dell’udienza di oggi, è che la non punibilità non dovrebbe essere estesa ulteriormente rispetto ai limiti definiti dalla sentenza del 2019. Ad essere potenziate, piuttosto dovrebbero essere le cure palliative. Se fosse confermata dall’Alta Corte Costituzionale tale interpretazione restrittiva, Cappato e i suoi colleghi Maltese e Lalli rischierebbero una condanna fino a 12 anni di carcere.


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