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Ddl Autonomia: cosa prevede e perché il referendum abrogativo può cancellarla

ddl autonomia legge referendum abrogativo
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Il residuo fiscale, i Livelli Essenzaili delle Prestazioni (Lep) e il rischio di sistemi differenti in ogni regione. La corsa al referendum abrogativo. E i sondaggi con l'incognita quorum

Il Ddl Autonomia è legge dopo la seduta fiume alla Camera. Ma l’opposizione pensa già a un referendum abrogativo per cancellarlo. E Giorgia Meloni rischia l’effetto Renzi. Mentre secondo i sondaggi la riforma voluta da Roberto Calderoli e dalla Lega è sì apprezzata al Nord ma invisa al Sud. E questo potrebbe avere un peso importante nel risultato di un’eventuale consultazione popolare. Per l’attuazione bisognerà comunque attendere la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazione (Lep). Il governo ha due anni di tempo perché deve misurare il perimetro dei servizi da garantire su tutto il territorio nazionale. E poi decidere come finanziarli in caso di impossibilità da parte delle Regioni. Come? Esclusa la possibilità di farlo a debito, non rimangono che due strade: tagli alle spese o nuove tasse.

Cos’è il Ddl Autonomia

L’Autonomia Regionale o Differenziata consiste nel riconoscimento da parte dello Stato dell’autonomia legislativa alle Regioni a Statuto ordinario sulle materie che oggi sono di competenza concorrente. La lista delle materie comprende: Sanità, istruzione, università, ricerca, lavoro, previdenza, giustizia di pace, beni culturali, paesaggio, ambiente, governo del territorio, infrastrutture, protezione civile, demanio idrico e marittimo, commercio con l’estero, cooperative, energia, sostegno alle imprese, comunicazione digitale, enti locali, rapporti con l’Unione europea. In base alle decisioni delle singole regioni, in ogni territorio lo Stato potrebbe lasciare al singolo ente la facoltà di assumere insegnanti, gestire ferrovie, fiumi e litorali, scegliere quali sostegni fornire o no alle imprese e decidere le proprie relazioni internazionali. Con i Lep i più ricchi potranno trattenere fino a 9 miliardi di tasse.

Il residuo fiscale

Gli atti d’intesa tra lo Stato e le Regioni apriranno per le più ricche la possibilità di trattenere il proprio residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto versano e quanto ricevono in termini di spesa pubblica. Questo avvantaggerebbe alcuni territori a discapito di altri. Secondo un’elaborazione di Bankitalia le Regioni più avvantaggiate sono Lombardia (con 5.090 euro per ciascun residente), Emilia-Romagna (2.811), Veneto (2.680), Piemonte (1.006), Toscana (852), Lazio (789) e Valle d’Aosta (231). Complessivamente il Nord avrebbe in più, magari per istruzione e sanità, 2.715 euro ad abitante, il Centro 514 mentre il Sud ce ne rimetterebbe 2.451 a testa. La quota di Irpef e Iva che potrebbero trattenere Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto secondo lo Svimez ammonta a 9 miliardi totali.

I Livelli essenziali delle prestazioni (Lep)

La parola chiave della riforma è Lep, ovvero i Livelli Essenziali delle Prestazioni che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale anche con l’Autonomia differenziata regionale. Su temi come sanità e trasporti pubblici è lo Stato a dover decidere quali sono i livelli minimi delle prestazioni. Già oggi, con i Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), le prestazioni e i servizi essenziali arrancano al Sud rispetto al Nord. In alcune regioni del Mezzogiorno il punteggio Lea è inferiore del 60% rispetto agli altri territori. Le Regioni che sono più avanti nell’applicazione dei Lea sono quelle che hanno chiesto maggiore autonomia: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto. Nei Lep rientrano anche la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e la produzione di energia. Mentre con la maggiore potestà legislativa si rischiano anche una ventina di sistemi scolastici differenti.

Il referendum abrogativo

Contro il Ddl Autonomia l’intera opposizione vuole promuovere un referendum abrogativo. Ma si pensa anche a una serie di ricorsi alla Corte Costituzionale da parte dei governatori delle regioni del Sud. E così la tagliola potrebbe anticipare il voto popolare. In più, un referendum sull’Autonomia (così come quello sul premierato) potrebbe trasformarsi per Meloni nella trappola che ha fatto cadere Renzi. Hanno annunciato, infatti, di voler partecipare alla raccolta firme per indire un referendum tutti i partiti di opposizione: dal Pd al M5s, da Avs a Iv, passando per Azione e Più Europa.

Anche l’associazione “La via maestra”, che riunisce oltre 100 organizzazioni, tra cui anche la Cgil, ha annunciato la raccolta delle firme. La via maestra, ricordando di aver portato «centinaia di migliaia di persone in piazza il 7 ottobre del 2023 a Roma e lo scorso 25 maggio a Napoli», già chiama «alla mobilitazione cittadine e cittadini di tutte le Regioni contro la legge approvata e auspica che si formi un ampio comitato promotore per la raccolta di firme che porti al referendum per l’abrogazione della legge Calderoli».

I sondaggi

Sull’eventuale consultazione popolare peserà la comprensione di come e quanto la riforma garantirà servizi come sanità, scuola e trasporti in tutta Italia. «Noi abbiamo testato il gradimento della popolazione sull’autonomia differenziata ed è a macchia di leopardo», riferisce all’Ansa il sondaggista Nicola Piepoli, secondo cui molto «dipenderà molto da come sarà formulato il quesito e dall’informazione diffusa tra i cittadini». Per il collega Roberto Weber (Ixè) «sull’autonomia differenziata avremo un paese diviso in due. Possibile un lieve prevalenza dei contrari. Il tema vero sarà l’affluenza».

Il quorum

Un’incognita pesante per il raggiungimento del quorum, sottolineata anche da Lorenzo Pregliasco, che rimarca il grande astensionismo registrato alle ultime Europee: «È una legge che viene letta in modo molto diverso tra il nord e il sud». Che «teme di essere svantaggiato e marginalizzato. Di contro, nel Meridione l’affluenza spesso è più bassa quindi puntare solo sul voto del Sud sarebbe una sfida ardua da vincere». Antonio Noto invece ha da poco realizzato un sondaggio per Repubblica: «Il 45% dei cittadini è contrario, il 35% favorevole e il 20% non sa esprimere un’opinione. Disaggregando i dati per area geografica, al nord prevalgono i favorevoli ma di poco (42% favorevoli, 35% contrari), al sud prevalgono di molto i contrari (57% contro, 25% a favore)». E il centro? «Esprime un’opinione più vicina al Sud».

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