Iran, il video dell’ennesima donna arrestata per aver indossato “male” l’hijab. Tra una settimana il voto per il dopo-Raisi – Il video

La denuncia dell’attivista Alinejad: «Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo regime di apartheid di genere»

È in atto una guerra contro le donne in Iran. Ormai da tempo. Sui social l’hashtag War against women è diventato virale. Filmati, fotografie, dichiarazioni che denunciano la repressione del regime degli Ayatollah nei confronti di chi indossa «in maniera inappropriata» l’hijab o di chi si oppone alla sua imposizione. L’ultima violazione dei diritti umani risale a pochi giorni fa: una giovane iraniana è stata costretta a salire su un van della polizia morale per un ciuffo di capelli che le fuoriusciva dal velo. Nel filmato su X si vedono due agenti donne integralmente vestite di nero, che la costringono a entrare sul mezzo e le infilano gambe e piedi dentro a forza. La giovane cerca di sottrarsi, afferra il velo di un’agente, ma le poliziotte morali la tengono ferma fino a che un collega non chiude il portello del furgone. «Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo regime di apartheid di genere», denuncia su X l’attivista Masih Alinejad. «Una storia oscura» e che si ripete, scrive. E a pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Iran del 28 giugno. Il Consiglio dei Guardiani, che dipende direttamente dalla Guida Suprema Ali Khamenei, ha infatti accettato a inizio mese sei delle 80 candidature previste in vista della tornata elettorale organizzata (in anticipo) dopo la morte del presidente Ebrahim Raisi. Tutti uomini, tutti ultra-conservatori e un riformista. «Noti criminali» e «strumenti del regime impegnati a mantenere le politiche della dittatura islamica basate sulla misoginia, l’incarcerazione, la tortura e l’esecuzione», scrivono in una nota attivisti, organizzazioni studentesche e molti professori iraniani. Per loro le «elezioni sono una farsa». Perciò si appellano alla popolazione dell’Iran affinché boicottino le urne di fine giugno. 


La storia si ripete

La violenta repressione da parte delle autorità iraniane va in scena ormai da anni. Ieri, la Premio Nobel per la Pace 2023, Narges Mohammadi – rinchiusa da tempo nella prigione di Evin – è stata condannata a un altro anno di detenzione con l’accusa di «propaganda contro lo Stato». Risale, invece, al mese scorso la nuova stretta delle autorità iraniane sull’hijab, obbligatorio nella Repubblica islamica dal 1979, con l’avvio dell’operazione Nour (ovvero «Luce»). Era stato il capo della polizia Abasali Mohammadian a lanciare il monito, annunciando «misure severe» verso chiunque «osi sfidare le autorità sui copricapi» e mettendo un punto, o quasi, a oltre un anno e mezzo di proteste cominciate a fine settembre del 2022 con l’uccisione di Mahsa Amini. L’ennesima stretta era arrivata a pochi giorni dal discorso di Khamanei durante il quale aveva ricordato come tutte le donne debbano rispettare le regole sul velo «qualunque sia il loro credo».


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