Cosa c’è dietro la strage di pellegrini alla Mecca: «Migliaia di euro per il viaggio, poi abbandonati nel nulla a 52 gradi»

Le famiglie di alcune delle vittime egiziane hanno raccontato il raggiro subito alla Bbc. E ora il governo del Cairo apre un’inchiesta

Centinaia di morti. Forse oltre 1.000. Forse molti di più. È il tragico bilancio a una settimana dall’inizio del pellegrinaggio annuale a La Mecca, uno dei momenti più solenni dell’anno per il mondo islamico. Di più, un momento atteso per tutta la vita da migliaia di fedeli musulmani dagli angoli più remoti del pianeta, che spesso progettano il viaggio per decenni, mettendo da parte appositamente i risparmi. Il dramma nel dramma, a quanto pare, è che a patire la sorte più tragica negli scorsi giorni siano stati con ogni probabilità proprio molti dei pellegrini più poveri e impreparati al tragitto. A spiegarlo ai microfoni della Bbc sono state alcune famiglie egiziane colpite direttamente dai lutti causati in primis dalle temperature roventi di questi giorni in Arabia Saudita (fino a quasi 52 gradi). E il loro racconto evoca quelli noti di altri viaggi della disperazione.


Il business dei pellegrinaggi

Per effettuare il pellegrinaggio in situazione di piena regolarità le autorità saudite mettono a disposizione degli appositi “visti Haji”. Chi li ottiene normalmente entra poi in un circuito che garantisce ai pellegrini il pernottamento in tende dotate di aria condizionata, i trasferimenti tra i principali luoghi sacri dell’Islam in autobus e cure sanitarie ove occorrano. Il problema è che ottenere quei permessi può rivelarsi un processo complicato e/o costoso per famiglie con pochi mezzi. E così molti decidono di mettersi in viaggio con un semplice visto turistico. Che garantisce sì l’ingresso in Arabia, ma senza nessuna particolare copertura organizzativa o di altro genere. In pratica, è il caso se non altro di chi parte dall’Egitto, ci si affida piuttosto ad agenti di viaggio specializzati. Che non sempre però si rivelano propriamente delle garanzie. Anzi. Per salire a bordo di un convoglio ufficiale Haji i pellegrini egiziani devono pagare qualcosa come 6mila dollari, una fortuna (il salario medio mensile supera a stento i 400 dollari). A Effendiya, una donna 70enne poi morta per il clima torrido – e verosimilmente a molti altri – un agente locale aveva offerto il servizio per un importo pari circa alla metà, promettendo un trattamento «a cinque stelle». Quel che doveva succedere era in realtà ben diverso.


Abbandonati nel nulla al solleone

I pellegrini sarebbero stati lasciati a una dozzina di chilometri dal monte Arafat – primo dei luoghi sacri dell’Islam parte del percorso, dove tradizionalmente si trascorre una notte in preghiera – e lì abbandonati, sotto il sole cocente. «Ogni volta che videochiamavo mio madre si stava rovesciando addosso dell’acqua. Non riusciva a sopportare quel caldo infernale. Nell’ultima videochiamata era esausta», ha testimoniato il figlio della 70enne egiziana. Secondo l’uomo, insomma, i pellegrini come sua madre che sognavano il viaggio della loro vita sono stati «completamente abbandonati». Mentre il caso sta creando scandalo nel Paese, con le cifre esatte di morti e feriti ancora non chiare, il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly ha detto che sarà aperta un’inchiesta sulle attività delle agenzie che organizzano i tour dei pellegrini “non registrati” verso l’Arabia Saudita. Quanto a Effendiya, la donna è poi spirata all’angolo di una strada verso La Mecca. «Sperava di morire ed essere sepolta nella città sacra: almeno questo suo sogno si è realizzato», la piangono ora i figli.

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