«Venti secondi? Troppi per dire di no». Il sindacalista Cisl assolto dall’accusa di molestie su una hostess anche in appello

Ribadito in secondo grado il giudizio per Raffaele Meola. Lo sdegno delle associazioni: «Così si torna indietro di 30 anni»

Venti secondi sono troppi per reagire a una molestia sessuale. Lo aveva stabilito nel 2022 il tribunale di Busto Arsizio (Varese) e lo hanno ribadito oggi, lunedì 24 giugno, i giudici della Corte d’Appello di Milano. Il tribunale di secondo grado ha confermato l’assoluzione di un ex sindacalista della Cisl, accusato di violenza sessuale da una hostess che si era rivolta a lui nel marzo 2018 per una vertenza sindacale. La Corte d’Appello del capoluogo lombardo ha rigettato il ricorso presentato dalla procura (il pm di Busto, Martina Melita, all’epoca aveva chiesto due anni) e da Maria Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna, a cui la donna si era rivolta.


La denuncia della donna

L’episodio denunciato dalla vittima, all’epoca assistente di volo, risale al marzo 2018. La donna si era rivolta a lui per una vertenza sindacale. Nel corso di un loro incontro, quest’ultimo avrebbe iniziato a palpeggiarla, ma lei avrebbe esitato per circa venti secondi prima di reagire e opporsi. «Sono arrabbiata. Non ho versato una lacrima ma sono proprio arrabbiata, perché fatico a capire se una donna ha o no il diritto ad aver paura per venti secondi prima di capire come reagire alle mani addosso di un uomo», aveva dichiarato la donna commentando la sentenza di primo grado del tribunale di Busto Arsizio.


Il ricorso in Cassazione

Ed è proprio Manente, come già accaduto con l’assoluzione in primo grado, a usare i toni più duri per commentare la sentenza della Corte d’Appello di Milano: «Questa sentenza ci riporta indietro di 30 anni e rinnega tutta la giurisprudenza di Cassazione che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza accertarsi del consenso della donna, è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato». La responsabile legale dell’associazione Differenza Donna annuncia l’intenzione di fare ricorso in Cassazione.

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