Diplomifici e fabbriche di titoli, una piaga non solo italiana. L’appello del sindacato Gilda: «Intervenga l’Unione europea»

Su 65mila richieste che il Cimea esamina ogni anno in Italia, il 12% delle qualifiche risulta dubbio e problematico

Le fabbriche di titoli non sono un sistema solo italiano, ma una piaga comune. È l’allarme del sindacato della Gilda degli Insegnanti che, in vista del G7, richiama l’attenzione dei vertici mondiali sui fenomeni dei diplomifici e laureifici, lanciando una proposta contro la corruzione e l’abuso accademico. Considerato che per arginare il fenomeno non ci sono sanzioni penali sufficienti, è necessario ricorrere ad un sistema di sanzioni amministrative che, nei casi più gravi, escludano per sempre dalla pubblica amministrazione chi vi entra con titoli falsi, abusando della fiducia dell’intero sistema educativo. «Di fronte al moltiplicarsi dei casi di titoli falsi o privi di valore, è evidente che lo spauracchio del procedimento penale non funziona, quindi è necessario che i governi, e se possibile l’Unione Europea, assumano provvedimenti amministrativi sanzionatori, ribaltando sugli interessati l’onero dell’eventuale ricorso», spiega il coordinatore nazionale della Gilda, Rino Di Meglio, nel corso dell’evento Fabbriche dei Titoli, organizzato dal sindacato a Roma. Da qui la richiesta di un coordinamento a livello internazionale ed europeo volto al superamento della mercificazione dei titoli professionali. «La qualità della cultura, dell’istruzione ed ora anche della salute dei cittadini, è messa seriamente in pericolo. Occorre quindi agire con rapidità e determinazione», chiosa.


Laureifici: anche fuori confine e tracce fin dal Medioevo

A supporto dell’appello ai vertici europei, la Gilda ha presentato uno studio concentrato sulla normativa europea, che ha permesso la libera mobilità e circolazione dei titoli professionali. Il riferimento è a partire dalla Convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997, ratificata con Legge 11 luglio 2022 n.148. Per quanto riguarda, invece, il riconoscimento delle qualifiche personali a regolamentarlo è la direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che comporta la libera circolazione dei professionisti dei Paesi dell’Unione europea all’interno dello Spazio europeo. «Attraverso la nostra ricerca abbiamo constatato come non si tratti di un fenomeno solo italiano e di cui si ha traccia persino fin dai tempi del Medioevo», spiega Di Meglio. «Nel 1444 il senato di Venezia dichiara privi di valore i titoli accademici conseguiti fuori dall’ateneo di Padova. Ancora, nel XV secolo, Avignone perde più di un terzo dei propri studenti di diritto anche a causa della concorrenza delle diverse fabbriche di titoli nelle quali un gruppo di ‘dottori’ vende titoli senza insegnare», riferisce Gilda. «Un meccanismo – prosegue – non recente e ben radicalizzato anche al di fuori dei confini italiani che non danneggia solo il mondo della scuola e che ha trovato terreno fertile soprattutto negli ultimi anni, con l’aumento della mobilità internazionale e l’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito educativo».


Il 12% delle qualifiche risulta dubbio: ecco le strategie

Nel nostro Paese, è il Cimea (Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche) a riconoscere e valutare i titoli di studio. E su 65mila richieste che l’ente esamina all’anno, il 12% delle qualifiche risulta dubbio e problematico. Sono diversi i casi di cronaca emersi di recente che hanno messo in luce ancora una volta il fenomeno dei diplomifici e laureifici. Uno tra tutti è lo scandalo Bosniagate, che ha coinvolto l’università online «Jean Monnet» e sul quale la Procura di Palermo ha avviato un’indagine. L’ateneo rilasciava diplomi di laurea falsi in Medicina, Infermieristica, Fisioterapia, per poi essere utilizzati in vari Paesi tra cui l’Italia, la Svizzera, la Croazia, la Serbia e la Libia. Tantissimi studenti hanno speso anche fino a 20mila euro l’anno per poi ritrovarsi tra le mani un titolo di studio totalmente privo di validità. Ma questo è solo uno dei metodi. C’è chi ricorre a scorciatoie per l’ottenimento di alcuni titoli che in Italia prevedono una trafila complessa, come ad esempio quello di avvocato. Molti eludono l’esame di stato, obbligatorio nel nostro Paese, andando a studiare in Spagna, dove l’esame non esiste e per diventare avvocato è sufficiente la laurea, un master e un test finale a crocette. Una volta concluso il percorso in Spagna, tornano in Italia e si iscrivono all’Albo degli avvocati. E a gestire il tutto sono spesso vere e proprie agenzie che arrivano a chiedere anche 25mila euro.

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