Le accuse di auto-golpe, l’arresto del generale Zuñiga, il rientro delle truppe: cosa sappiamo finora del tentato colpo di Stato in Bolivia
Il generale Juan José Zuñiga, accusato di aver orchestrato il tentato colpo di stato di ieri contro il governo del presidente boliviano Luis Arce, è stato arrestato dalla polizia mentre lasciava il quartier generale dello Stato Maggiore boliviano. Zuñiga era arrivato al quartier generale assieme a un gruppo di soldati che, con l’ausilio di carri armati, avevano fatto irruzione nel palazzo del governo a La Paz. Tuttavia, al momento della sua detenzione, il generale ha dichiarato alla stampa che sarebbe stato proprio il presidente Arce ad ordinare la mobilitazione delle truppe così da simulare un auto-golpe, con l’intento di migliorare la propria immagine pubblica. «Il presidente mi ha detto che la situazione era molto complicata e che era necessario preparare qualcosa per alzare la sua popolarità», ha affermato Zuñiga.
Chi sono i responsabili
Almeno 12 persone sono rimaste ferite durante il tentativo di golpe, alcune a causa dei colpi sparati dai soldati in rivolta sulla Plaza Murillo di La Paz e nelle sue vicinanze. La ministra della Presidenza, Maria Nela Prada, e quella della Sanità, María Renée Castro, hanno precisato che le brigate mediche hanno prontamente trasferito i feriti nelle strutture sanitarie competenti. In conferenza stampa, il ministro dell’Interno Eduardo del Castillo ha presentato i due principali responsabili del tentato golpe: gli ex comandanti dell’Esercito e della Marina, Juan José Zuñiga e Juan Arnez Salvador.
Ha annunciato che entrambi saranno processati per reati legati alla sicurezza interna e che altre persone saranno indagate per aver contribuito al tentato golpe. «Una volta che saranno condannati, garantiremo che ciò non accada di nuovo», ha concluso il ministro. In risposta a quanto accaduto, il presidente Luis Arce ha nominato i nuovi vertici delle forze armate: il generale José Wilson Sánchez Velásquez come comandante dell’esercito, il generale Gerardo Zabala come capo dell’Aeronautica militare, e il vice ammiraglio Renán Guardia alla guida della Marina.
Cos’è successo
Il tentativo di golpe, durato poco più di tre ore, ha gettato la Bolivia nel caos. Tuttavia, la nomina dei nuovi vertici militari ha rapidamente sgretolato i piani dell’ex comandante dell’esercito Zuñiga. Appena nominato, il generale José Wilson Sánchez Velásquez ha ordinato a tutti i militari di rientrare immediatamente nelle caserme per «evitare ulteriore spargimento di sangue». La risposta dei soldati è stata quasi immediata, con il ritiro delle truppe che avevano occupato il palazzo del governo.
Nel culmine della tensione, mentre il presidente Arce appariva in una trasmissione in diretta nel Palazzo del Popolo con il suo gabinetto, le truppe comandate da Zuñiga hanno fatto irruzione nell’edificio con un blindato, forzando il portone principale. Zuñiga, destituito nei giorni scorsi dopo aver minacciato pubblicamente l’ex presidente Evo Morales, è tornato in piazza per chiedere le dimissioni di Arce e del suo esecutivo, annunciando ai media la formazione di un nuovo governo e la liberazione dei detenuti politici.
Le reazioni
L’ex presidente Morales, che ha ancora una certa influenza nel Paese, ha inizialmente reagito invitando la popolazione ad uno sciopero, denunciando che «il colpo di Stato è stato preparato in anticipo». Alla luce del fallimento del tentato golpe, ha poi deciso di sospendere la mobilitazione «visto che la calma è ritornata nella sede del governo». Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. L’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell ha condannato qualsiasi tentativo di sconvolgere l’ordine costituzionale, mentre il premier spagnolo Pedro Sanchez ha espresso sostegno e solidarietà al governo e al popolo boliviano. Condanne al tentato golpe sono arrivate anche da Cuba, Brasile, Nicaragua e Venezuela. In Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha seguito l’evoluzione degli eventi, con la Farnesina che ha monitorato la situazione tramite l’Unità di Crisi e l’Ambasciata d’Italia in Bolivia.