La premio Nobel Shirin Ebadi e le elezioni in Iran: «Sono una farsa. Ma il popolo è disposto a pagare per la democrazia e alla fine la otterrà» – L’intervista

«Un tempo credevo che le riforme avrebbero reso l’Iran un Paese migliore, ma l’esperienza mi ha insegnato che sbagliavo: non servono a nulla», dice a Open la giurista e attivista. Le elezioni si svolgeranno domani, 28 giugno

«Non ci sarà alcun cambiamento dopo le elezioni in Iran». Ne è certa la giurista Shirin Ebadi, prima iraniana e prima donna musulmana ad ottenere il Premio Nobel per la Pace nel 2003, che dall’esilio a Londra continua a lottare per il suo paese. Domani, venerdì 28 giugno si terranno le elezioni presidenziali in Iran, indette dopo la morte del presidente Ebrahim Raisi. Il Consiglio dei Guardiani ha accettato solo sei candidati sugli 80 registratisi: tutti uomini – «secondo la Costituzione il presidente non può essere una donna», spiega a Open Ebadi -, quasi tutti ultraconservatori (due hanno abbandonato la corsa per non disperdere voti). Solo uno di loro, l’ex ministro della Sanità Masoud Pezeshkian, è considerato un riformista. Ma l’approvazione della sua candidatura, dicono gli esperti, rientra nel piano della Repubblica islamica per aumentare la partecipazione al voto. Le elezioni di venerdì si svolgono in un contesto di diffuso malcontento tra la popolazione, a causa della dura repressione da parte delle autorità iraniane – in seguito alle proteste “Donne, vita, libertà” scoppiate dopo l’uccisione di Mahsa Amini – ma anche per la perenne crisi economica. Gli elettori manifestano, ormai da tempo, la propria disillusione nei confronti di un regime che reprime ogni forma di dissenso. Sul risultato inciderà, con ogni probabilità, anche l’affluenza, ai minimi storici nelle presidenziali del 2021 e in quelle parlamentari di quest’anno. E anche questa volta, gli attivisti per i diritti umani hanno chiesto alla popolazione di disertare le urne «farsa» di venerdì. «Sono anni che non voto perché le elezioni in Iran non sono libere e la popolazione si è resa conto nel tempo che è inutile recarsi ai seggi», afferma Ebadi. 


Con le elezioni di venerdì 28 giugno ci sarà un cambiamento in Iran?


«Secondo la Costituzione della Repubblica islamica tutti i poteri sono nella mani della Guida Suprema, Ali Khamenei, e il presidente dovrebbe eseguire e, quindi, realizzare i suoi desideri. Tutti i sei candidati alla presidenza del’Iran hanno già detto, nei loro discorsi, che metteranno in pratica il suo volere. Solo che ciascuno pensa di poter implementare l’agenda del leader meglio di tutti gli altri. Quindi non ci sarà alcun cambiamento dopo le elezioni: tutte le decisioni continueranno ad essere prese da Khamenei. Ciò significa un regime autoritario e per questo motivo la maggior parte delle persone, specialmente operai e insegnanti, non hanno mai partecipato al voto e continuano ancora oggi a disertare le urne».

Un candidato dei sei, Masoud Pezeshkian, è considerato un riformista. In passato lei credeva che l’Iran fosse riformabile…

«Sì, in passato credevo che le riforme avrebbero reso l’Iran un Paese migliore, ma l’esperienza mi ha insegnato che sbagliavo. Ad esempio, quando il politico riformista Mohammad Khatami divenne presidente (nel 1997, ndr) rimase in carica 8 anni e la maggioranza riformista della sesta legislatura ne durò 4, abbiamo visto che non c’è stato alcun cambiamento significativo in Iran. E poi siamo arrivati a oggi e abbiamo capito che con le riforme non si ottiene niente. Il motivo è che secondo la Costituzione della Repubblica islamica, i poteri sono tutti nelle mani della Guida Suprema, che viene eletto a vita da un gruppo di religiosi di alto rango e non dal popolo. Pertanto la strada verso qualsiasi riforma è chiusa, non c’è altra via se non quella di cambiare le fondamenta dell’Iran e della Costituzione».

Molti attivisti, tra cui Narges Mohammadi, hanno chiesto alla popolazione di non presentarsi alle urne, cosa ne pensa?

«Ormai sono anni che non partecipo e, quindi, non voto perché le elezioni in Iran non sono libere. Tutti i candidati devono prima essere approvati dal Consiglio dei Guardiani: la popolazione non è libera di scegliere il proprio rappresentante, ma solo uno tra quelli selezionati dall’organo costituzionale. Nemmeno i membri del Consiglio vengono scelti dagli iraniani. Sono in totale 12 persone, 6 dei quali sono teologi nominati direttamente dalla Guida suprema e altre 6 persone sono giuristi designati indirettamente da Khamenei. E il rappresentante di quest’ultimo presso il potere giudiziario elegge queste persone, che prenderanno le decisioni per tutta la popolazione. In Iran le elezioni non sono libere, non lo sono mai state. Ed è anche per questo che molta gente non vota, nel tempo si è resa conto che è inutile».

Si aspetta qualcosa dalla comunità internazionale?

«Mi aspetto che la comunità internazionale non appoggi il dittatore. La lotta per la democrazia è compito del popolo iraniano. Quindi chiediamo ai Paesi democratici occidentali, in particolare all’Europa, di non aiutare il dittatore». 

Perché le donne sono così poco, o per niente, coinvolte nei processi elettorali e politici in Iran?

«Secondo la Costituzione della Repubblica islamica, il presidente deve essere un uomo. Le donne che hanno provato a registrarsi non sono state, infatti, accettate a causa della Carta».

Che ruolo hanno le donne? È un regime che vuole controllare i loro corpi?

«La cultura patriarcale prima vuole avere il controllo sul corpo delle donne e poi sul loro cervello. Ecco perché in Iran abbiamo leggi che obbligano le donne a indossare il velo. Il regime rappresenta l’uomo ed è la cultura patriarcale che deve decidere».

A proposito di donne che lottano per la libertà dell’Iran, la rivoluzione cominciata dopo l’uccisione di Mahsa Amini ha subito una battuta d’arresto?

«Dopo l’assassinio di Mahsa Amini nel 2022 è scoppiata una rivoluzione sociale e non politica. Le persone si sono rese conto del proprio potere e le donne hanno dimostrato quanto siano capaci di scuotere la società. Quando in un Paese scoppia la rivoluzione sociale e non politica, questa rivoluzione non fallisce mai. E nonostante la dura repressione del regime e il gran numero di persone uccise, torturate e arrestate, vediamo che le donne in Iran continuano a togliersi il velo appena possono perché ciò che vogliono è una parità dei diritti».

Oltre alla consapevolezza, cosa hanno lasciato le grandi proteste?

«Le manifestazioni hanno lasciato ancora più rancore nei confronti del regime. La popolazione ha preso ancora di più le distanze da esso perché vede con che violenza il regime uccide i giovani in strada, sparandogli con proiettili in faccia. Molti di loro hanno perso la vista e soltanto 150 tra ragazzi e ragazze sono stati accettati in Europa per essere poi operati in Francia e Germania. Tutto ciò ha provocato ancora più rabbia e odio nel popolo».

Anche lei è stata perseguitata dal regime, ma continua a lottare per i diritti umani in Iran…

«Io sono stata perseguitata dal regime per essermi opposta alle violazioni dei diritti umani. Inoltre, tutti i miei averi e le mie proprietà, nonché la mia casa, il mio ufficio sono stati confiscati e i miei conti bancari chiusi. Essendo in quel periodo all’estero, mia sorella e mio marito sono stati arrestati e hanno trascorso un periodo di tempo in carcere. Ora sono liberi. Tutto questo mi ha fatto capire, e vedere ancora meglio, cosa il regime fa alla gente. Ma non ho paura, continuerò per la mia strada perché credo fermamente nel mio obiettivo: la Democrazia in Iran». 

Quindi vede la democrazia nel futuro dell’Iran?

«So che il popolo iraniano alla fine otterrà la democrazia perché quando tutta la popolazione vuole una cosa prima o poi l’avrà. La popolazione sa qual è la strada da percorrere e il modo per raggiungere il cambiamento. La democrazia ha un costo: gli iraniani sono consapevoli che il regime non intende rispondere alle loro domande e alle loro giuste richieste. Per questo non ha altra scelta se non quella di scendere in piazza e manifestare. Ma un popolo che è disposto a pagare per la democrazia alla fine raggiungerà l’obiettivo». 

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