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Giorgia Meloni verso la guerra sulle nomine Ue? L’ipotesi del no e quella dell’astensione (con il rischio isolamento)

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«Io l’ho informata, ma lei non ha voluto discutere», dice uno dei negoziatori del Ppe. Contro l'accordo solo l'Italia, l'Ungheria e la Slovacchia

Un commissario europeo con deleghe importanti e una vicepresidenza. Questo è quello che spetta all’Italia secondo Giorgia Meloni nella partita delle nomine Ue. Mentre l’accordo tra Popolari, Socialisti e Liberali è «un precedente molto discutibile». E stasera a Bruxelles nel Consiglio Europeo arriverà il momento della verità. Intanto la premier valuta l’ipotesi di astenersi su Ursula von der Leyen presidente della Commissione Europea e su Kaja Kallas come Alto rappresentante per la Politica Estera. E di dire no ad Antonio Costa alla presidenza proprio del Consiglio. Ma nel suo gruppo Ecr il premier ceco Petr Fiala ha deciso che voterà il pacchetto di nomine. E dall’Ue c’è chi fa notare che «al momento sono contro l’accordo l’Ungheria di Orbán, la Slovacchia di Fico e l’Italia di Meloni».

Il Consiglio Europeo

I retroscena raccontano che stasera al Consiglio Europeo Meloni ha davanti a sé una rosa di scelte piuttosto ampia, ma nessun jolly in mano. Secondo il Corriere della Sera la premier non ha ancora deciso cosa fare. E lo farà soltanto all’ultimo momento. In base a quello che si dirà durante la riunione. In pochi scommettono sull’ok a tutte le nomine. Meloni potrebbe astenersi oppure votare direttamente no nei confronti del pacchetto di nomine delle tre famiglie che reggeranno la maggioranza dell’europarlamento. Oppure potrebbe chiedere il voto su ogni singola carica, arrivando a dire sì ad Ursula e no agli altri candidati. L’attacco di ieri ai caminetti e alla nomenclatura europea che l’ha esclusa dalla trattativa potrebbe costituire il preludio a una rottura. Nella quale però in pochi, pochissimi seguirebbero l’Italia. Che a quel punto si troverebbe con poche armi nella trattativa per la commissione.

Crosetto, Fitto, Belloni

Prima dello showdown di ieri l’Italia era vicina a ottenere una vicepresidenza. Con deleghe importanti (Bilancio e Pnrr) e un nome già sul tavolo: quello del ministro di Fratelli d’Italia Raffaele Fitto. Ma anche un commissario, con deleghe alla concorrenza, al commercio o all’industria. Oppure alla difesa. Per questi posti si fanno i nomi di Elisabetta Belloni e del ministro Guido Crosetto. Ma la partita sulla commissione non potrà che aprirsi quando sarà finita quella sui top jobs dell’Unione Europea. E se Meloni cominciasse con un’astensione potrebbe finire con niente (o quasi) in mano. Intanto i due negoziatori socialisti Olaf Scholz e Pedro Sanchez escono allo scoperto. Ricordando che il peso delle voci contrarie all’accordo e governate dalle destre «restituisce come risultato il 17% della popolazione».

Il rischio isolamento e quello dei conti

E allora quello che rischia di dover fronteggiare l’Italia è l’isolamento. «Io l’ho informata, ma lei non ha voluto discutere», ha detto uno dei negoziatori del Ppe, il greco Mitsotakis, riferendosi alla presidente del Consiglio italiana. L’accusa che viene dall’Europa, spiega Repubblica, è che è stata Meloni a volersi isolare. Mentre c’è chi fa notare che Ecr non ha presentato nemmeno lo spitzenkandidat, ovvero il candidato alla presidenza della Commissione. Escludendosi così da solo dalla partita delle nomine. Nel frattempo però l’Italia ha anche un altro problema: quello dei conti pubblici. La Commissione ha già avviato la procedura per deficit eccessivo: il Belpaese è in compagnia della Francia e di altri cinque membri della Ue. Mettersi in un angolo verrebbe percepito dai mercati come un segno di debolezza.

La carta di riserva

C’è però una carta di riserva in mano alla premier. Ed è il voto sulla presidente della Commissione Europea che coinvolgerà il parlamento. La soglia da raggiungere è di 361 voti, i tre partiti insieme ne hanno 399 ma cinque anni fa cento franchi tiratori misero in pericolo l’ok, alla fine arrivato per soli nove voti in più rispetto al minimo. Oggi, spiega La Stampa, potrebbero mancare 50 voti rispetto a quelli previsti. I 24 eurodeputati meloniani potrebbero fare comodo per assicurare la chiusura della partita all’ex ministra della Difesa tedesca. Che però ha anche un’altra opzione sul tavolo. Quella di accaparrarsi i 54 voti dei Verdi. I quali in cambio chiedono di entrare in maggioranza, promettendo meno rigidità sul Green Deal e sulle altre partite ambientali. E così la partita si potrebbe chiudere con l’Italia in panchina. E Meloni a guardare.

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