Nomine Ue, il piano di Giorgia Meloni che punta su Marine Le Pen (e Donald Trump)
«Se a Parigi si insedia il governo del Rassemblement National ne vedremo delle belle». In queste poche parole attribuite dal Corriere della Sera a «fonti meloniane» sta tutto il piano della premier sulle nomine Ue. Dopo la scelta di dire no ad Antonio Costa e Kaja Kallas e di astenersi su Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni è sola e arrabbiata. E mentre i giornali esteri le attribuiscono la volontà di «stravolgere gli equilibri», alti funzionari Ue e rappresentanze diplomatiche degli stati membri dell’Unione Europea parlano di «errori strategici» che oggi le costano l’isolamento. In Europa ma anche nel suo gruppo al Parlamento Europeo. Dove c’è chi pensa di votare comunque Ursula. Mentre la sua posizione nel Consiglio Europeo è sembrata più a destra rispetto a quella di Viktor Orbán, che almeno un sì (a Costa) lo ha pronunciato.
Fitto, Crosetto, Belloni, Cingolani
La materia del contendere sono naturalmente le poltrone. La premier italiana punta a una vicepresidenza di peso con deleghe pesanti come quella al Pnrr per il suo fedelissimo Raffaele Fitto. In alternativa potrebbe arrivare la Difesa con Guido Crosetto. Un’altra carta da giocarsi è quella di Elisabetta Belloni. Mentre sui giornali oggi spunta anche Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica del governo Draghi. La deadline è il 18 luglio: quel giorno il Parlamento Europeo voterà su von der Leyen presidente della Commissione Ue. Ursula in teoria può contare su 399 voti, più dei 361 che le occorrono per la maggioranza. In pratica, nel 2019 il voto fu funestato da un centinaio di franchi tiratori e se la cavò con solo 9 voti di scarto. Una situazione che l’ex ministra della Difesa tedesca vorrebbe evitare. Per questo cerca altri voti oltre a quelli di Popolari, Liberali e Socialisti.
L’astensione su Ursula
Per questo l’astensione annunciata da Meloni su Ursula somiglia a un modo per tenere aperta una porta. E per aprire a una trattativa fino al voto di Strasburgo. Intanto la premier va all’attacco: «Hanno calato dall’alto un pacchetto di nomine, violando la prassi e i trattati e ignorando il voto degli elettori», ha detto ai collaboratori. «Non potevo aderire alla logica di una maggioranza politica che si spartisce gli incarichi. Ma non sono affatto isolata, perché molti nel Consiglio Ue sono irritati per questi metodi». Ora Meloni deve spendere bene i 24 voti di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo. In cambio punta come minimo alla vicepresidenza. Per «dare all’Italia il peso politico che oggi non ha», sostiene. Ma anche per cercare di salvare il salvabile dopo una sconfitta diplomatica.
Marine Le Pen e Donald Trump
Per questo punta su uno scenario ancora possibile. Ovvero la vittoria di Marine Le Pen alle elezioni in Francia, dove i sondaggi danno per favorito il suo Rn. Marine ha già detto che se otterrà la maggioranza sceglierà lei i nomi da mandare a Bruxelles e non Emmanuel Macron. Ma pare difficile, proprio in nome della politica del Rn, che Le Pen faccia un passo indietro su un commissario francese per favorire l’Italia. Sarebbe una mossa che in patria non capirebbero. La vittoria di Trump a Usa 2024, sempre più probabile dopo le voci di ritiro e di malattia di Joe Biden, porterebbe invece l’intera Europa a dover rivedere la sua politica estera e di difesa. Perché finirebbe a mare l’euroatlantismo e bisognerebbe ricostruire un rapporto con un alleato americano sempre più protezionista e isolazionista. E in questo caso conservatori e destra sovranista potrebbero tornare in gioco. Magari a discapito dell’intera Ue. Ma questo, ormai, è soltanto un dettaglio.
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