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La difesa del Cardinale Becciu: «Volevano annientarmi, il processo è stato ingiusto»

30 Giugno 2024 - 08:00 Redazione
L'intervista al Corriere della Sera: «La chiamata al Papa che registrai? Ero disperato»

«Io non ho commesso nessuna truffa e nessun peculato e lo grido a gran voce. In un processo bisogna trovare i responsabili di chi ha fatto uso disinvolto di danaro. E soprattutto chi ha commesso un reato. Io nego di essere stato tra costoro, ho agito in base a quanto è stato studiato e proposto dai nostri uffici. Inoltre l’investimento della somma fu autorizzata dal mio Superiore, l’allora Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone». Parla il cardinale (sospeso) Giovanni Angelo Becciu, ex Sostituto della Segreteria di Stato, condannato a 5 anni e 6 mesi per peculato nello scandalo finanziario legato al palazzo di Sloane Avenue, Londra, un investimento immobiliare che causò oltre 200 milioni di perdite nette per le casse papali. Becciu ha deciso di parlare con il Corriere della Sera «perché davanti a un’ingiustizia non si deve tacere. La Bibbia dice di non lasciare tramontare il sole senza che si renda giustizia al povero defraudato. Era considerato un peccato che gridava vendetta al cospetto di Dio. E io quasi da quattro anni sono stato defraudato dell’onore, del ministero episcopale e della serenità. È molto più di un tramonto».

«Sloane Avenue? Io mi limitai a seguire le indicazioni»

«Per la Segreteria di Stato – spiega citando al vicenda su cui ha ricevuto una condanna – vi era un ufficio apposito che si occupava di questa materia e io mi sono limitato a seguire le loro indicazioni. Peraltro, l’ufficio mi presentò l’investimento che comprendeva anche il Palazzo di Londra come massimamente vantaggioso perla Santa sede. Dov’era il reato? Ho forse ottenuto un beneficio personale? Nessuno! E poi badi bene che quando la Segreteria di Stato decise di acquistare l’intera proprietà del Palazzo io non ero più Sostituto».

La telefonata a Papa Francesco

Quando uscì la sua registrazione di una chiamata al Pontefice racconta «corsi subito da papa Francesco a spiegarmi e a scusarmi. E lui capì. Ero disperato e la disperazione dell’innocente accusato è ancora più drammatica. Il Papa era uscito da poco dall’ospedale e giravano voci allarmanti sulla sua salute, col processo alle porte. Non volendolo indicare come testimone gli chiesi se poteva mettere per iscritto le cose che sapevamo solo io e lui: che mi aveva autorizzato a mediare per la liberazione di una suora colombiana in Mali. Mi chiese di scrivere la lettera che poi gli inviai. Ma in risposta ne ricevetti una dura, severa, firmata da lui ma con un linguaggio che non era il suo, in cui non lo riconoscevo. Mi vennero dei dubbi. Lo richiamai, perché era la mia unica salvezza. E registrai il nostro colloquio. Ma non usai mai quella registrazione, né fui io a renderla pubblica». E infine: «Purtroppo qualcuno ha detto al Papa tante falsità contro di me, dopo sette anni di rapporti leali e sinceri. Per me rimane un buco nero. Bisognava annientarmi, senza processo. Speravano che mi ritirassi in Sardegna, senza combattere. Ma non l’ho fatto né lo farò. Urlerò al mondo la mia innocenza con la forza della verità. Una forza interiore ancor più forte da quando sono stato condannato».

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