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L’allarme dell’untore Hiv che contagiò, uccidendo, la sua compagna: «Sto morendo in carcere ma nessuno mi cura»

30 Giugno 2024 - 08:33 Redazione
Pinti sta scontando 16 anni di reclusione per omicidio volontario della sua compagna, morta in seguito per la malattia. Sconta anche la condanna per lesioni gravissime nei confronti della ex, contagiata anche lei dall'uomo

Claudio Pinti, 40enne autotrasportatore di Montecarotto, nelle Marche, sta scontando a Rebibbia, a Roma, 16 anni di carcere per l’omicidio volontario di Giovanna Gorini, morta sette anni fa per una patologia legata all’Hiv trasmessagli proprio da Pinti, con il quale aveva avuto una bambina. L’uomo è anche stato condannato per lesioni gravissime nei confronti di Romina Scaloni, l’ex fidanzata che lo denunciò quando scoprì di esser stata contagiata. Adesso Pinti ha iniziato uno sciopero della fame dietro le sbarre per chiedere cure migliori. «Sono gravemente malato, ho l’Aids conclamato e un sarcoma. Potermi curare è un mio diritto e invece da due anni nessuno mi ha mai visitato», dichiara in un virgolettato diffuso da Repubblica. «Non sono un untore seriale. Ho solo sottovalutato le conseguenze della malattia quando stavo ancora bene», spiega. Ormai è definitiva la sentenza che lo condanna a scontare 16 anni di reclusione. Nel 2022, davanti alla decisione, gli furono tolti i domiciliari, oggi la lotta per tornarvi. «Pinti sta male — sottolinea il suo legale Massimo Rao — l’ultima volta è stato visitato in carcere due anni fa. Da più di un anno e mezzo stiamo combattendo una battaglia per gli arresti domiciliari perché le sue condizioni di salute sono assolutamente incompatibili con il carcere. Lo diciamo noi, ma lo dicono più perizie d’ufficio disposte da procura e tribunale. E lo dice la Cassazione che sul nostro ricorso contro la revoca dei domiciliari l’anno scorso si era pronunciata in tempi rapidissimi». Ma a dispetto dei pronunciamenti i giudici di sorveglianza rinviano. Ogni volta, secondo il legale, con scuse nuove, tra cui la verifica che Pinti non abbia collegamenti con la criminalità organizzata o che la sua famiglia sia disposta ad accoglierlo in un appartamento a norma.

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