Giacomo Bozzoli: la fuga dell’uomo condannato in Cassazione per l’omicidio dello zio Mario

Oggi 40enne, la sera dell’8 ottobre 2015 avrebbe ucciso e fatto sparire il corpo nella fonderia di famiglia

I carabinieri l’hanno cercato tutta la notte per notificargli l’esito della sentenza con cui la Cassazione ha confermato l’ergastolo. Ma Giacomo Bozzoli non si trova. Sono passati quasi 9 anni dalla sera dell’8 ottobre 2015, quando lo zio del condannato, Mario Bozzoli, è stato ucciso e il suo corpo è stato fatto sparire. Il nipote, Giacomo, si è sempre dichiarato innocente per le accuse di omicidio aggravato e distruzione del corpo. Ma adesso, dopo la conclusione del terzo grado di giudizio, l’esecuzione penale in carcere deve iniziare. Il padre di Giacomo aveva indicato ai militari che il figlio si trovava nella villa a Soiano, sul lago di Garda. «Sta aspettando lì la sentenza», aveva detto. Ma di Giacomo, invece, i carabinieri non hanno trovato nessuna traccia.


L’omicidio

L’omicidio è avvenuto nella fonderia di famiglia a Marcheno, con la complicità di due operai: uno di loro si è suicidato pochi giorni dopo la morte del titolare. L’altro attende il rinvio a giudizio della procura. Sull’assenza di Giacomo dalla sua casa a poche ore dalla pronuncia della Cassazione, il Corriere scrive: «Non si esclude si sia trattato di un momento di confusione, cedimento e disperazione, unito al desiderio di “godersi” le ultime ore di libertà. E che quindi a stretto giro possa decidere di costituirsi». Il verdetto, infatti, è stato emanato ieri – primo luglio – poco prima delle 18.


Il prossimo 19 luglio Giacomo compirà 40 anni. Anche suo padre ha sempre sostenuto l’innocenza del figlio. Ma il procuratore generale della Cassazione, invece, ha chiesto e ottenuto la conferma dell’ergastolo poiché «in termini di legittimità, non si registra alcuna violazione di legge nella doppia sentenza conforme di condanna a carico dell’imputato. Così come non ci sarebbero vizi di motivazioni, sia sotto il profilo formale che logico».

Le prove contro Giacomo

Mario Bozzoli è morto «senza dubbio» nella fonderia che gestiva insieme al fratelli e agli altri famigliari. E il suo corpo è stato distrutto in uno dei forni della fabbrica. Per il procuratore generale, «le piste alternative sono accreditabili solo nel campo della magia» ha detto il procuratore generale. Gli elementi di prova sono molti, come ad esempio le telecamere di sicurezza della fonderia, sposate poco prima dell’omicidio, gli ingressi e le uscite di Giacomo dalla fabbrica, coincidenti con gli orari della morte dello zio e dell’occultamento del cadavere.

E, infine, l’odio «ostinato e incontenibile» di Giacomo verso lo zio, «colpevole a suo avviso sia di lucrare dalla società dei proventi sia di intralciare i suoi progetti imprenditoriali». Tali sentimenti, fissati nelle sentenze dei giudici bresciani, non sarebbero stati nascosti a conoscenti e all’ex fidanzata, sentita in aula durante il primo grado, alla quale Giacomo avrebbe confidato un piano per uccidere lo zio.

L’ultima chiamata alla moglie e la «fumata anomala» dal forno della fonderia

La difesa di Giacomo aveva consegnato 145 pagine di ricorso per tentare l’annullamento della condanna. «Pur essendo a nostro giudizio evidente che Giacomo Bozzoli sia innocente, non possiamo non rilevare che le sentenze – in assise e assise d’appello – siano fondate sull’inosservanza di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità assoluta e che comportano pertanto la nullità di tali sentenze», si legge nelle carte. Tra i rilievi fatti dai legali, il cambio del capo di imputazione avvenuto a processo già iniziato, compromettendo il diritto di difesa.

Giacomo, infatti, è stato accusato prima di aver ucciso da solo e trasportato il corpo dello zio fuori dalla fabbrica. Poi di averlo fatto in concorso con i due operai. Distruggendone il corpo nel forno. Secondo la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia, «l’omicidio è stato commesso in un ristretto ambito spaziale e temporale». Ovvero tra le 19.15, orario in cui Mario ha chiamato sua moglie Irene, e le 19.18 quando dal forno grande della fonderia è uscita una «fumata anomala». L’addetto a quel forno si è suicidato in Valcamonica sei giorni dopo la morte di Mario.

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