Giacomo Bozzoli in fuga, il suocero: «È in Francia». La Maserati ripresa dalle telecamere il 23 giugno. Perché era ancora libero
La fuga di Giacomo Bozzoli potrebbe essere iniziata almeno 8 giorni prima la sentenza della Cassazione, che ha reso definitiva la condanna all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario. I carabinieri hanno ricostruito l’ultimo percorso di Bozzoli prima di sparire. Con un passaggio della sua Maserati Levante rilevato alle 5.51 del 23 giugno da Manerba, in provincia di Brescia. E due minuti più tardi da Desenzano. E poi un altro passaggio alle 6.03. E poi c’è l’ultimo accesso a Whatsapp, che risale alle 3.30 del mattino fra il 23 e il 24 giugno, come riporta il Corriere. Una notte insonne per il 39enne che si è poi messo al volante della sua auto.
La pista francese
Bozzoli da oggi è ufficialmente ricercato come latitante, ma non è ancora scattato il mandato d’arresto internazionale, che potrebbe arrivare comunque in giornata. Sempre che il 39enne non decida di costituirsi prima. L’ipotesi degli inquirenti è che sia scappato insieme alla moglie e al figlio. Il suocero agli investigatori ha riferito che la famiglia sarebbe «in una località imprecisata della Francia». La procura di Brescia sospetta che la fuga fosse stata preparata da tempo, in vista della sentenza della Cassazione. Bozzoli sarebbe molto probabilmente all’estero, in un Paese confinante con l’Italia.
Le polemiche dopo la fuga
Il 1 luglio i carabinieri non lo hanno trovato Bozzoli all’appuntamento per il trasferimento in carcere. Il nipote dell’imprenditore bresciano ucciso l’8 ottobre 2015 nel forno della sua fonderia non aveva restrizioni nella sua libertà di movimento. Una misura mai presa e che oggi scatena dure polemiche. Nel 2018 l’allora capo della procura di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso avocò a sé l’inchiesta sulla scomparsa dell’imprenditore bresciano. E due anni dopo chiese il rinvio a giudizio per il nipote. Al Corriere ha spiegato che «Bozzoli è sempre stato disponibile e reperibile».
Il pericolo di fuga
Finora quindi il pericolo di fuga non si era mai palesato, «altrimenti avremmo agito in modo diverso. Nell’ultima settimana, magari, in previsione della sentenza fissata in Cassazione, si è portati a ritenere che fosse in qualche modo monitorato. Monitorare però non significa fermare. Certo, poi proprio nel momento più delicato, per ora, ha fatto perdere le sue tracce. Questo breve lasso di tempo lascia pensare che possa ancora costituirsi. Ha sempre dimostrato di essere ben presente a se stesso».