Rinnovabili, pompe di calore ma anche il ritorno del nucleare: cosa prevede il Piano Energia e Clima del governo Meloni
C’è anche l’energia nucleare nella strategia che il governo italiano intende seguire per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Lunedì 1° luglio, il ministero dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto ha inviato a Bruxelles il nuovo Pniec, ossia il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Un documento di 491 pagine, che contiene la strategia dell’esecutivo sull’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni climalteranti. «Uno strumento programmatorio che traccia la nostra strada energetica e climatica con grande pragmatismo» e che segue un approccio «tecnologicamente neutro», promette il ministro Pichetto. Il che significa che prende in considerazioni «tutte le fonti di energia, senza preclusioni». Eppure, ci sono buone ragioni per credere che la Commissione europea avrà qualcosa da ridire sul Pniec inviato dal governo italiano, se non altro perché alcuni dei difetti evidenziati nella «pagella» dello scorso anno sono stati riproposti tali e quali anche nella versione aggiornata del documento.
Il ritorno dell’atomo
La principale novità del nuovo Pniec, la cui ultima versione risale al 2019, sta proprio nel ritorno dell’energia atomica. Il Piano conferma infatti la volontà del governo Meloni di puntare su un mix rinnovabili-nucleare, che permetterebbe di garantire «la sicurezza del sistema elettrico» e «la stabilità dei prezzi». Il lavoro condotto dall’esecutivo con la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnns) prevede innanzitutto di valutare le potenzialità dei nuovi piccoli reattori modulari, ancora in fase embrionale ma più economici e più veloci da costruire rispetto alle grandi centrali. Il Pniec prevede due scenari di decarbonizzazione del sistema energetico italiano: uno con e uno senza nucleare. Nel primo scenario, si prevede che l’energia prodotta dall’atomo possa coprire nel 2050 dall’11% al 22% della domanda totale. In termini assoluti, si tratterebbe di una capacità di generazione nucleare di 8 o 16 GW. Affinché questo scenario si realizzi, sono necessarie però anche «le opportune e necessarie modifiche legislative».
La spinta sulle rinnovabili
Il contributo più importante per la riduzione delle emissioni arriverà dalle rinnovabili, che oggi coprono il 19,2% dei consumi finali di energia. Entro il 2030, il governo punta ad alzare questa percentuale al 39,4%. Più in particolare, le fonti rinnovabili dovranno coprire il 63% dei consumi elettrici, il 36% di quelli per riscaldamento e raffreddamento, il 34% dei trasporti e il 54% dell’idrogeno usato nell’industria. Per poter rispettare tutti questi obiettivi, l’Italia dovrà poter contare su una capacità rinnovabile di circa 131 gigawatt, di cui 80 di fotovoltaico, 28 di eolico, 19 di idroelettrico, 3 con le bioenergie e 1 di geotermico. Si tratta di una cifra quasi doppia rispetto alla capacità rinnovabile del 2021, che si è attestata a 74 gigawatt.
Trasporti e biocarburanti
Se sulle rinnovabili il Pniec preparato dal governo italiano rispetta gli obiettivi europei, lo stesso non si può dire per altri ambiti di intervento. Nel settore dei trasporti, per esempio, il documento del Mase parla della necessità di investire sull’elettrico, sulla «riduzione della mobilità privata», ma anche sui biocarburanti, che – si legge – «avranno un ruolo chiave già nel breve termine in quanto contribuiscono alla decarbonizzazione del parco esistente». Il problema è che questa tecnologia è stata “bocciata” dall’Unione europea. Il regolamento che prevede lo stop a partire dal 2035 alle vendite di nuove auto a benzina e diesel ha lasciato la porta socchiusa per i carburanti sintetici (chiesti a gran voce dalla Germania) ma non per i biocarburanti (chiesti dal governo italiano).
Il nodo delle emissioni non industriali
I trasporti non sono l’unico ambito su cui la Commissione europea potrebbe avere qualcosa da obiettare quando valuterà il Pniec italiano. L’altro tasto dolente riguarda le emissioni di gas serra. I regolamenti europei fanno una distinzione ben chiara tra due tipi di emissioni. Da un lato, ci sono quelle legate all’Emission Trading System (Ets), ossia il Sistema di scambio di quote di emissioni che riguarda i settori industriali più energivori. Dall’altro ci sono i settori «non Ets», ovvero trasporti, civile, agricoltura, rifiuti e piccola-media industria. Entro il 2030 l’Italia prevede di ridurre le emissioni nocive in questi cinque settori del 40,6% rispetto ai livelli del 2005. Un valore più basso di quanto di quanto richiederebbero gli obiettivi europei (-43,7%). Per raggiungere questo target, si legge nel Pniec, ci sarà bisogno di «uno sforzo estremo». Non basteranno, insomma, le misure imposte dall’alto. Servirà anche «un sostanziale mutamento degli stili di vita e di consumo verso comportamenti caratterizzati da maggior efficienza energetica e minori emissioni».
Ristrutturazioni e pompe di calore per gli edifici
Nelle 491 pagine di documento ci sono alcune menzioni anche della cattura e stoccaggio della CO2, una tecnologia ad oggi molto costosa e che ha prodotto pochi risultati. E poi c’è il tema dell’efficientamento degli edifici, divenuto ancora più di attualità con le polemiche sul Superbonus e la direttiva «case green». Su questo fronte il governo insiste sulla necessità di accelerare gli interventi di riqualificazione energetica ma punta anche su una diffusione capillare delle pompe di calore, una tecnologia considerata molto più efficiente e sostenibile delle caldaie tradizionali e che secondo il governo dovrebbe diventare il «sistema principale di riscaldamento da installare».
E l’addio ai combustibili fossili?
La precedente versione del Pniec italiano, inviata a Bruxelles lo scorso anno, aveva incontrato qualche critica da parte della Commissione europea. Uno dei problemi principali sollevati da Bruxelles riguardava l’addio ai combustibili fossili. Insieme a Croazia e Slovacchia, l’Italia è l’unico Paese che prevede di aumentare la produzione nazionale di gas naturale. Eppure, nella versione aggiornata del Pniec non sembrano esserci segnali di ripensamenti da parte del governo. Anzi, il documento aggiornato insiste sul fatto che «il gas continuerà a giocare un ruolo determinante per il sistema energetico nazionale durante il periodo di transizione energetica». Anche questa volta non sembra esserci alcuna data entro cui il governo italiano si impegna ad affrancarsi definitivamente dalle fonti fossili. L’unica fonte per cui vengono fornite informazioni più precise è il carbone, che nei piani del governo sarà definitivamente abbandonato entro il 2028.
Le critiche di opposizioni ed ecologisti
I partiti di opposizione si sono scagliati contro la strategia delineata dal governo nel Pniec, criticando soprattutto la scelta di puntare sull’energia atomica. «Si rinuncia a costruire oggi le condizioni per una transizione a vantaggio di imprese, famiglie e cittadini mentre si assecondano come sempre gli interessi delle industrie fossili e del nucleare», attacca Sergio Costa, deputato del Movimento 5 stelle ed ex ministro dell’Ambiente. Una posizione simile arriva anche dal Pd, che definisce «un’arma di distrazione di massa» la spinta del governo sul nucleare. Mentre le principali associazioni ambientaliste accusano il governo di aver redatto un documento «irrazionale, non partecipato» e che non permetterà all’Italia di raggiungere gli obiettivi climatici al 2030. «Il Pniec Italiano rallenterà ancora di più il processo di transizione, con inutili investimenti pubblici in tecnologie irrealizzabili, costose, che pongono gravi problemi ambientali», affermano in una nota congiunta Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Transport&Environment e Wwf Italia. Il riferimento, anche in questo caso, è al nucleare, che renderebbe la strategia del governo italiano «totalmente irrazionale».
July 1, 2024
Credits foto di copertina: Dreamstime/Vaclav Volrab
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