Debito pubblico, Parlamento bloccato, populisti allo sbaraglio: perché gli imprenditori francesi hanno paura del «modello Italia»

Il mondo delle imprese in ansia per il voto di domenica: la vittoria dell’RN o del Fronte Popolare sono considerate «pericolose». Ma altrettanto lo sarebbe l’instabilità

Sulla stampa francese, nei dibattiti tv e nei conciliaboli tra osservatori interessati non s’è mai parlato come in questi giorni d’Italia. E la ragione non sta solo nell’origine evidenziata dal cognome del possibile, temuto/auspicato primo ministro, Jordan Bardella. Dopo lo scioglimento brutale del Parlamento da parte di Emmanuel Macron lo scorso 9 giugno, la Francia s’è avventurata sul sentiero dell’ignoto: difficilissimo capire che strada prenderà il Paese, l’unica reale certezza è l’indebolimento ai limiti della sopravvivenza politica di chi quel voto l’ha convocato, Macron appunto. Mancano ora pochi giorni al verdetto – il secondo turno delle legislative che dovrà sciogliere i nodi in centinaia di circoscrizioni – e si naviga sempre a vista. Due gli scenari più probabili secondo i sondaggi, come noto: una maggioranza più o meno solida per il Rassemblement National, che proietterebbe Bardella al timone del governo, in un’improbabile coabitazione con Macron, oppure una “non-vittoria” dell’RN (e di nessun altro) per effetto degli accordi di desistenza tra i liberali di Ensemble e l’asse delle sinistre del Nouveau Front Populaire. Le posizioni in campo sono tanto polarizzate – con accuse reciproche di «guerra civile» e «colpo di Stato amministrativo», niente meno – da essere chiarissime. Ma che ne pensa il mondo economico? Come si stanno posizionando le imprese? Cosa preferirebbero e cosa temono di più?


I conti che non tornano

In Francia come altrove, ovviamente, il mondo delle imprese è tutto fuorché un monolite. Ci sono imprenditori vicini al liberismo incarnato da Macron (come il magante del lusso Bernard Arnault, terzo uomo più ricco al mondo) così come c’è un pezzo rilevante di patronato che si riconosce in posizioni conservatrici. Settore a sua volta diviso tra chi è tentato dal dialogo con l’RN “rinnovato” di Le Pen e Bardella – il sogno nel cassetto di Vincent Bolloré, il finanziere bretone che ha creato la tv CNews proprio per sdoganare la destra dura – e chi continua a considerarlo invotabile. E c’è da tener conto delle differenze di visione tra le grandi imprese, che si muovono a loro agio sui mercati europei e internazionali, e le quasi 160mila piccole e medie imprese che punteggiano il Paese, coi padroni di queste ultime spesso decisamente più tentati dalla carta «legge e ordine» di Bardella. A riportare tutti ai fatti, o meglio ai numeri, ci ha pensato però nel pieno della campagna elettorale un attore terzo. Già, perché Il 19 giugno la Commissione Ue ha aperto l’iter della procedura d’infrazione per deficit eccessivo nei confronti non solo dell’Italia, ma pure di altri sei Paesi: tra cui, appunto, la Francia. Non poteva essere diversamente, d’altra parte, avendo il governo di Parigi fatto deficit per oltre il 5% del suo Pil (dal 2024 sta tornando in vigore il nuovo Patto di Stabilità, e la Commissione ha smesso di chiudere gli occhi in modalità “post-pandemica” su tali sforamenti). Cosa ancor più preoccupante, i tecnici Ue hanno consegnato i risultati della loro analisi di sostenibilità del debito pubblico francese, da cui sono emersi «elevati rischio nel medio periodo» e una previsione di peso sulle casse dello Stato pari al 139% del Pil di qui a 10 anni, a politiche invariate. Scenario italiano, appunto – e non è un complimento. Che rende la Francia più fragile in Europa e di fronte ai mercati, e che richiede un governo solido e responsabile sul piano fiscale.


Il Commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni annuncia l’apertura di procedure d’infrazione contro Italia, Francia e altri cinque Paesi europei – Bruxelles, 19 giugno 2024 (EPA/OLIVIER HOSLET)

Pericoli da destra

Ecco perché a tentare di compattare le imprese e dare la linea prima del voto è stato il capo del Medef, la Confindustria francese che rappresenta aziende di ogni settore e dimensione. Di fronte all’ombra del debito pubblico e della speculazione finanziaria, Martin ha detto chiaramente in un’intervista a Le Figaro, che «certe misure economiche ci preoccupano molto, nel momento in cui la situazione dei conti pubblici è molto delicata, la competizione internazionale forte e la congiuntura debole. È il momento peggiore per lanciarsi in avventure pericolose: il Paese è già abbastanza fragile». Un riferimento duplice, ha poi chiarito, al rischio per la tenuta dell’economia nazionale rappresentato non da uno, ma da due dei principali blocchi politici in lizza: «Il programma del RN è pericoloso per l’economia francese, la crescita e l’impiego, quello del NFP lo è altrettanto, se non di più», ha scandito Martin, pur ricordando che ciò «non vuol dire che tutti i loro elettori sono degli estremisti». Le Pen e Bardella, in effetti, hanno speso negli ultimi mesi significative energie a tentare di rassicurare il mondo delle imprese, con editoriali aperti e incontri a porte chiuse, e limando il programma. Ma l’RN resta dell’idea di abrogare la riforma delle pensioni fatta passare – a prezzo di giorni di guerriglia in Parlamento e nel Paese – da Macron, e garantire a chi ha cominciato a lavorare a 20 anni di andare in pensione a 60. Bardella d’altronde non ha mai amministrato neppure un condominio. Nelle ultime settimane, per tranquillizzare gli ambienti del business, ha lanciato l’idea di una «revisione delle spese» dello Stato subito dopo l’eventuale arrivo al potere. Ma il suo partito fonda la sua forza elettorale pure sulla promessa di infischiarsene delle regole europee, facendo valere il «primato del diritto francese». Potrebbe quindi saltar fuori dal sentiero di rientro da debito e deficit eccessivo indicato dalla Commissione Ue proprio nel momento in cui prende piede il nuovo Patto di Stabilità. Come dire consegnarsi mani e piedi agli avvoltoi dei mercati.

Jordan Bardella all’incontro coi rappresentanti del Medef – Parigi, 20 giugno 2024 (EPA/Teresa Suarez)

E da sinistra

Eppure quella di domenica prossima per le imprese è in molti casi una scelta davvero dolorosa, perché da molti punti di vista il programma del Nouveau Front Populaire è considerato perfino più pericoloso. Vi si trovano, qui sì, la promessa dell’abbassamento dell’età della pensione per tutti a 60 anni, l’innalzamento dello Smic (salario minimo) a 1.600€ al mese, la reimposizione di una pesante patrimoniale e di tasse sugli extraprofitti delle grandi imprese. Proposte molto popolari in vasta parte dell’elettorato, ma considerate poco meno che diaboliche dalle imprese. Secondo un sondaggio pubblicato nei giorni scorsi da Les Echos, se il Nouveau Front Populaire dovesse conquistare la maggioranza quasi il 60% dei piccoli e medi imprenditori rinvierebbe ogni progetto d’investimento o assunzione. Se davvero lo Smic fossero alzato al livello annunciato, il 27% si dice certo che non potrebbe che licenziare parte dei dipendenti; il 14% che dovrebbe chiudere l’azienda. Destra o sinistra che sia, in ogni caso, la vittoria di uno dei due blocchi radicali per quasi l’80% degli intervistati potrebbe condurre la Francia ad essere messa addirittura sotto tutela dal Fondo monetario internazionale. Alla faccia della grandeur...

Il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon (EPA/Guillaume Horcajuelo)

L’instabilità, questa sconosciuta

Paradosso dei paradossi, anche se nessuno dei due principali blocchi contrapposti vincerà – cosa del tutto possibile dopo la convergenza tattica tra sinistre e macroniani – si potrebbe produrre uno scenario inedito per la Francia, e inquietante per il mondo delle imprese. «La nostra preoccupazione è di passare da una situazione d’instabilità parlamentare a una ancora peggiore», ha detto ancora Martin nella citata intervista. La Quinta Repubblica era stata progettata (da De Gaulle) perché il potere esecutivo fosse non solido ma granitico. Poi dalla seconda metà degli anni ’80 sono iniziati i primi esperimenti di cohabitation tra governi e presidenti della Repubblica di colori politici diversi. Ma un Parlamento bloccato, senza una maggioranza chiara, i francesi non lo hanno mai sperimentato. Se l’RN non dovesse avere i numeri, in effetti, un’altra maggioranza potrebbe anche saltare fuori – magari con una super-alleanza dalle sinistre non estreme sino al centrodestra, compresi ecologisti e liberali – ma ci potrebbero volere settimane o mesi di gestazione. E nel frattempo? In Italia c’abbiamo ormai fatto l’abitudine, ma sulla stampa francese già ci si chiede inquieti come si potrebbe mai fare a predisporre una finanziaria prima della fine dell’anno.

Monti, Draghi, Meloni: ispirazione cercasi

D’altra parte un Parlamento frammentato ma in cui alla fine emerge una coalizione “centrista” è scenario che sembra tranquillizzare in questa fase i mercati, con la Borsa di Parigi tornata calma dopo le inquietudini del dopo-scioglimento dell’Assemblée Nationale. Forse perché nella storia recente d’Italia imprenditori e analisti francesi sembrano aver individuato pure due scenari alquanto interessanti: da un lato la strada che di fronte a Parlamenti bloccati porta ad un governo tecnico – stile Draghi o Monti – cui lo stesso Figaro dedica proprio oggi un attento excursus; dall’altro quella che di fronte ai vincoli internazionali e di bilancio costringe le forze sovraniste alla moderazione e al pragmatismo, per lo meno in economia. Hanno già coniato un termine per indicare tale strada, i francesi: melonisation. Anche se la scommessa che Marine Le Pen e il suo avatar Bardella seguirebbero la stessa via della leader di FdI una volta giunti al governo è molto contestata. Da lunedì, se non altro, i ragionamenti a bocce ferme saranno più semplici.

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