La moglie del sindaco suicida di Corte Palasio: «Colpa degli insulti ricevuti, un delirio mediatico che va fermato»
«Chiedo giustizia. Voglio sapere la verità. Quello che è accaduto a lui non deve accadere più». Non si dà pace Debora Russo, la moglie di Claudio Manara, il sindaco di Corte Palasio trovato morto impiccato nella sede municipale del suo Comune lo scorso 29 maggio. Si è trattato un suicidio, provocato a detta di Russo dall’enorme quantità di odio che dai social si era riversato nella vita del 67enne. «Ricordo bene quella serata: una volta tornati a casa mio marito si è sdraiato sul divano, sudava, non era tranquillo. Non riusciva a capire come poteva difendersi da tutte quelle false accuse emerse in una campagna elettorale piena d’odio. Era amareggiato per le tante bugie dette nei suoi confronti», ha raccontato al Corriere la donna.
L’inizio di tutto
Sulla vicenda è stato aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Manara era un bancario e un sindacalista, prima di entrare nella lista civica Aria Nuova e venir eletto primo cittadino di quel comune di appena 1.500 abitanti nel Lodigiano. La scelta di entrare in politica la prende cinque anni fa: «Claudio non era un politico di professione, ma voleva dare il suo contributo per la comunità. E aveva vinto per soli quattro voti. Credeva nella sana politica. Ricordo ancora la prima cosa che aveva fatto appena eletto: aveva chiamato l’Auser di Corte Palasio per essere accompagnato dai cittadini disabili. È sempre stato legato al sociale», ha spiegato ancora Debora Russo.
«Soffriva molto»
È stata proprio Debora Russo, che l’uomo aveva sposato nel 2020 dopo 9 anni di relazione, a trovare il suo cadavere. Solo poche ore prima dell’episodio, ha raccontato, «ho chiamato Claudio come facevo sempre. Abbiamo parlato della cena, del fatto che accompagnavo il cane dal veterinario, tutto è sempre stato sotto controllo. Poi la tragedia. Capisce perché è stato uno choc tremendo? Qualcosa di impossibile da prevedere. Anche se Claudio, in effetti, soffriva molto per le cattiverie e falsità dette da qualcuno sul suo conto».
La campagna elettorale
Nello specifico, il riferimento è a «argomenti fantoccio come la presunta indagine della Corte dei Conti, poi archiviata per un errore di trascrizione di un dipendente dell’ufficio finanziario. Che peraltro aveva pubblicato sul sito ufficiale del Comune la propria “responsabilità in buona fede”. Era solo un atto denigratorio contro Claudio, che era cristallino e di una disponibilità e correttezza uniche». Ciononostante, prosegue la donna, «in tre settimane sono arrivati centinaia di insulti sempre dalle stesse persone. Sono riuscita a fare delle ricerche sui social e ho trovato una quantità enorme di termini lesivi utilizzati contro mio marito. È stata una campagna elettorale d’odio e di strumentalizzazioni, non altro. Qualcosa di pesante, impossibile da sostenere per chiunque».
Gli insulti
Anche un giorno prima del decesso, il 28 maggio, la presentazione della lista fu un calvario: «È stata una serata con un dibattito molto acceso. I toni sono stati esasperati, veniva interrotto spesso, ma è stato solo il culmine di una lunga campagna elettorale piena di attacchi frontali, non solo verso l’amministrazione comunale, ma contro la persona». Un «delirio mediatico» che «va fermato»: «Serve la sensibilità di tutti per riuscire a capire quando fermarsi e limitarsi con le accuse. Serve un freno, verso la lesione della moralità di una persona. Mio marito aveva depositato in passato anche delle querele per diffamazione, ma tutto era finito in nulla. Ora chiedo giustizia. Voglio sapere la verità. Quello che è accaduto a lui non deve accadere più».
Le ultime parole
La sera prima della tragedia, l’uomo disse a sua moglie qualcosa che lei non dimenticherà mai: «Nel suo intervento durante la presentazione del suo programma elettorale, ha dedicato l’ultima slide a elencare solo una parte degli insulti ricevuti sui social, per poi concludere dinanzi a tutti i presenti: “Io non ce la faccio più”. A pensarci mi vengono i brividi».
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