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«È morto, non so dove buttarlo»: il testimone che inguaia Antonello Lovato nel caso di Satnam Singh

08 Luglio 2024 - 08:27 Alba Romano
satnam singh antonello lovato renzo lovato
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È uno dei tre testi che la procura ha usato per validare le accuse nei confronti di Lovato

Un testimone del caso di Satnam Singh dice che il cittadino indiano era ancora vivo quando Antonello Lovato gli si è avvicinato dopo l’incidente che gli ha staccato un braccio. Ma il proprietario dell’azienda non lo ha capito. E alla moglie Soni ha detto: «È morto, non so dove buttarlo». Solo dopo si è avvicinato al ferito e ha capito che era ancora vivo. Ma non l’ha portato in ospedale. Il testimone si chiama Tarnjit Singh e ha 30 anni: «Per un anno, da voi, ho lavorato con l’Agrilovato». È uno dei tre testi che la procura ha usato per validare le accuse nei confronti di Lovato. A Repubblica Tarnjit Singh dice che hanno cominciato a lavorare alle 7 di mattina. C’erano «il padrone, Antonello Lovato, Satnam con sua moglie Soni, io e Alessandra». Ovvero, una bracciante «della provincia di Latina, 45 anni».

La testimonianza

Tarnjit Singh dice che erano pagati «cinque euro e mezzo l’ora, in nero. Non ho il permesso di soggiorno». Poi descrive la giornata di lavoro: «Di prima mattina avevamo raccolto le zucchine, quindi tolto l’erba dai campi dei meloni. Nel pomeriggio abbiamo iniziato a riavvolgere la rete che copre gli stessi meloni. Una rete di tessuto, simile al cotone». Nel momento dell’incidente «il padrone mi aveva dato un coltello ed ero andato a incidere il tessuto con una X, i meloni devono respirare. Sono il più distante da Satnam, settanta metri». Spiega che Satnam non poteva essere lontano dall’avvolgitore: «Era vicino al signor Lovato. Davanti al trattore e a quel macchinario, molto vecchio, che avvolge la rete. Quel lavoro spettava a lui. Come faceva a starci lontano?». Dell’incidente si è accorto a causa delle urla di Satnam: «Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo. La moglie e l’italiana sono corsi verso di lui, e anch’io».

L’incidente

Quando è arrivato, ha visto che «Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti. La moglie singhiozzava e diceva a Lovato: “Ospedale, ospedale”». Lovato, invece, «diceva che era morto». E quando gli chiedono di chiamare l’ambulanza, risponde: «È’ morto, non so dove buttarlo”. Soni ci implorava: “Respira, sentite”. Antonello è andato più vicino a Satnam e ha capito che era vivo». A quel punto «ha detto che l’ambulanza non veniva nella campagna. Ho chiamato al telefono mio cugino, parla meglio l’italiano. L’ho messo in viva voce. Anche lui: “Devi portare Satnam in ospedale”. Il padrone ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone urlando: “Aprite, aprite”. Nessuno lo faceva, io sono corso ad allargare il portellone posteriore. Credevo lo portasse in ospedale».

I Lovato

Nonostante tutto, Tarnjit definisce Lovato «una persona normale, ci dava l’acqua, a volte pranzava con noi. E quando pioveva, accompagnava Satnam a casa. A volte bestemmiava, ma non s’è mai arrabbiato con me». La famiglia Lovato non gli pare razzista. E lui vuole restare in Italia: «Voglio vivere qui, certo, Che altro potrei fare? In India ho tanti debiti».

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