«È morto, non so dove buttarlo»: il testimone che inguaia Antonello Lovato nel caso di Satnam Singh
Un testimone del caso di Satnam Singh dice che il cittadino indiano era ancora vivo quando Antonello Lovato gli si è avvicinato dopo l’incidente che gli ha staccato un braccio. Ma il proprietario dell’azienda non lo ha capito. E alla moglie Soni ha detto: «È morto, non so dove buttarlo». Solo dopo si è avvicinato al ferito e ha capito che era ancora vivo. Ma non l’ha portato in ospedale. Il testimone si chiama Tarnjit Singh e ha 30 anni: «Per un anno, da voi, ho lavorato con l’Agrilovato». È uno dei tre testi che la procura ha usato per validare le accuse nei confronti di Lovato. A Repubblica Tarnjit Singh dice che hanno cominciato a lavorare alle 7 di mattina. C’erano «il padrone, Antonello Lovato, Satnam con sua moglie Soni, io e Alessandra». Ovvero, una bracciante «della provincia di Latina, 45 anni».
La testimonianza
Tarnjit Singh dice che erano pagati «cinque euro e mezzo l’ora, in nero. Non ho il permesso di soggiorno». Poi descrive la giornata di lavoro: «Di prima mattina avevamo raccolto le zucchine, quindi tolto l’erba dai campi dei meloni. Nel pomeriggio abbiamo iniziato a riavvolgere la rete che copre gli stessi meloni. Una rete di tessuto, simile al cotone». Nel momento dell’incidente «il padrone mi aveva dato un coltello ed ero andato a incidere il tessuto con una X, i meloni devono respirare. Sono il più distante da Satnam, settanta metri». Spiega che Satnam non poteva essere lontano dall’avvolgitore: «Era vicino al signor Lovato. Davanti al trattore e a quel macchinario, molto vecchio, che avvolge la rete. Quel lavoro spettava a lui. Come faceva a starci lontano?». Dell’incidente si è accorto a causa delle urla di Satnam: «Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo. La moglie e l’italiana sono corsi verso di lui, e anch’io».
L’incidente
Quando è arrivato, ha visto che «Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti. La moglie singhiozzava e diceva a Lovato: “Ospedale, ospedale”». Lovato, invece, «diceva che era morto». E quando gli chiedono di chiamare l’ambulanza, risponde: «È’ morto, non so dove buttarlo”. Soni ci implorava: “Respira, sentite”. Antonello è andato più vicino a Satnam e ha capito che era vivo». A quel punto «ha detto che l’ambulanza non veniva nella campagna. Ho chiamato al telefono mio cugino, parla meglio l’italiano. L’ho messo in viva voce. Anche lui: “Devi portare Satnam in ospedale”. Il padrone ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone urlando: “Aprite, aprite”. Nessuno lo faceva, io sono corso ad allargare il portellone posteriore. Credevo lo portasse in ospedale».
I Lovato
Nonostante tutto, Tarnjit definisce Lovato «una persona normale, ci dava l’acqua, a volte pranzava con noi. E quando pioveva, accompagnava Satnam a casa. A volte bestemmiava, ma non s’è mai arrabbiato con me». La famiglia Lovato non gli pare razzista. E lui vuole restare in Italia: «Voglio vivere qui, certo, Che altro potrei fare? In India ho tanti debiti».
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