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Giacomo Passeri, detenuto da 11 mesi in Egitto per una dose di marijuana: «È stato torturato»

10 Luglio 2024 - 06:45 Redazione
giacomo passeri carcere egitto
giacomo passeri carcere egitto
La magistratura del Cairo lo accusa di detenzione e traffico di stupefacenti

Giacomo Passeri, 31 anni, si trova in carcere al Cairo in Egitto. È stato trovato in possesso di una piccola quantità di marijuana. Per uso personale. La magistratura egiziana lo accusa di detenzione e traffico di stupefacenti. E anche di far parte di una piccola rete di spaccio sul mercato locale. Repubblica racconta oggi che due poliziotti lo hanno fermato il 23 agosto dello scorso anno mentre era in viaggio in Egitto. E da lì lo hanno trattenuto per quasi un anno tra interrogatori saltati, interpreti che non si trovano, udienze rinviate di tre mesi in tre mesi (la prossima sarà a settembre). L’avvocato egiziano che lo assiste ha emesso una parcella di 30 mila euro, pagata attraverso il crowdfunding. I suoi quattro fratelli chiedono «che lo Stato si interessi a lui, se ha fatto qualcosa è giusto che paghi, ma può farlo in Italia, riportatelo a casa».

Le lettere

Passeri ha raccontato di essere stato «torturato», «rinchiuso per ore in una cella piena di feci, urine, scarafaggi, con le manette talmente strette da non far più scorrere il sangue nelle dita». Poi trasferito in un’altra gabbia con «12 detenuti accusati di omicidio, tentato omicidio ». Operato d’appendicite e «abbandonato senza cure per giorni», tra agenti che gli «tiravano acqua addosso» e lo «minacciavano in arabo ». «Se non fosse stato per il medico che diceva basta non so come andava a finire. Che incubo che sto vivendo, fratello mio», scriveva ad Antonio qualche tempo fa. Nell’ultima lettera, che risale a giugno, ma è stata recapitata nei giorni scorsi, parla dell’accusa come di «una barzelletta per cui mi sto fracicando il cervello qua dentro, tra sta merda strapiena di mosche come ci fossero cadaveri».

La Farnesina

La famiglia ha saputo dell’operazione per l’appendicite e dello spostamento nel carcere di Badr2. «Mio fratello mi ha chiamato una sola volta, a settembre scorso, mi ha detto: “Mi stanno portando in tribunale, non so che succede, non capisco niente di quello che dicono”. Poi più nulla », racconta ancora Antonio. Al ministro Tajani ha presentato un’interrogazione il vicecapogruppo di Avs, Marco Grimaldi: «L’Ambasciata deve garantire assistenza e supporto e muoversi per un equo e giusto processo in tempi celeri. Il governo deve riportarlo in Italia. Non vogliamo altri casi Salis, tantomeno altri Regeni».

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