La lettera di Giovanni Toti al suo legale e l’ipotesi di dimissioni. Chiesto un incontro con il ministro Salvini
«È chiaro che oggi per me la poltrona di Presidente è maggiormente un peso che un onore. Forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto…Non mi spaventa rinunciare ad un ruolo a cui pure sono legato…». Lo scrive Giovanni Toti in una lettera inviata all’avvocato Savi. «Vedo come una liberazione poter ridare la parola agli elettori…. ma la Presidenza non è un bene personale…Nei prossimi giorni, con il permesso dei magistrati, tornerò ad incontrarmi con gli amici del movimento politico, gli alleati… E le scelte che faremo saranno per il bene della Liguria», ha scritto il governatore ligure, sospeso, perché attualmente coinvolto nell’inchiesta in cui è indagato per corruzione insieme a Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’autorità portuale. Toti ha chiesto di incontrare il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e i due assessori regionali Giacomo Giampedrone e Marco Scajola. L’istanza è stata depositata al giudice dal suo legale. Il leader della Lega sarà a Genova lunedì ma non è detto che l’incontro possa avvenire in quel giorno. I confronti serviranno per capire come mandare avanti la Regione dopo la decisione del Riesame che ha confermato il presidente regionale gli arresti domiciliari. Non sono escluse, nelle prossime ore, dato il tono della lettera, eventuali dimissioni.
Al Riesame: «Ho capito benissimo cosa mi viene addebitato»
«Ora, per tranquillizzare i giudici del Riesame, che ritengono io non abbia capito il reato commesso e dunque lo possa reiterare, vorrei essere chiaro: ho capito benissimo cosa mi viene addebitato. Per i magistrati sarebbe reato essermi interessato ad un pratica, pure se regolare, perché interessava ad un soggetto che ha versato soldi al nostro movimento politico, pure se regolarmente», scrive il presidente della Regione Liguria. «Che, per paradosso, vuol dire che se mi fossi interessato alla stessa pratica di un imprenditore che non ci ha mai sostenuto, non sarei stato corrotto. – sostiene Toti – E se l’imprenditore avesse finanziato un movimento politico di cui così poco stimava la politica e i leader, tanto da non parlargli neppure dei suoi progetti, non sarebbe stato un corruttore. Mi si perdoni, ma pur capendo, non sono d’accordo. Pur avendo confermato ai magistrati punto per punto quanto accaduto, senza nascondere nulla. E tuttavia la reiterazione di quel reato resta impossibile»