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I due sciamani colombiani spariti dopo la morte di Alex Marangon: «Era nervoso, poi un urlo. Quella sera solo purganti. Non è stato ucciso»

Alex Marangon
Alex Marangon
Parlano per la prima volta Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, che attraverso il loro avvocato danno la loro versione su cosa sia successo la notte in cui è sparito il 25enne

Non credono che Alex Marangon sia stato ucciso i due sciamani colombiani ospiti del raduno sciamanico dopo cui il 25enne è morto. Jhonni Benavides e Sebastian Castillo sono andati via una volta finita la cerimonia nell’abbazia di Vidor. Come spiega in un’intervista al Corriere della Sera e a Repubblica il loro avvocato, lo spagnolo Oscar Palet Santandreu, i due al momento non sono mai stati sentiti dagli inquirenti della procura di Treviso, che indagano per omicidio volontario a carico di ignoti. Benavides e Castillo sarebbero convinti che Marangon sia rimasto vittima di un incidente nella notte tra il 28 e il 29 giugno. Dopo essere scomparso dopo quella notte, il 25enne è stato trovato morto il 2 luglio su un isolotto nel fiume Piave. Secondo l’autopsia, le ferite non giustificherebbero la morte per una caduta. Su Marangon sono state trovate ferite compatibili con un pestaggio.

Rinchiusi in un posto segreto

I due «curanderi» si troverebbero ora in un posto segreto, dove si sentirebbero al sicuro: «Per prudenza preferiscono rimanere in un luogo in cui si sentono protetti». Per 12 giorni sarebbero risultati irreperibili. Né finora hanno mai avuto l’occasione di parlare con i famigliari di Marangon, perché «non sarebbe stato opportuno» spiega l’avvocato. «In futuro sicuramente incontreranno i genitori». A loro i due colombiani vogliono «far arrivare il loro messaggio di cordoglio e le loro condoglianze».

L’urlo dopo l’inseguimento nel bosco

Quando Benavides e Castillo hanno saputo della morte di Marangon «erano sconvolti», spiega l’avvocato. Secondo alcuni testimoni, sarebbero stato loro quelli visti seguire il 25enne quando si è allontanato dall’abbazia: «A un certo punto del rito – dice l’avvocato – i miei clienti hanno notato che Alex era in conduzione, all’improvviso si è alzato ed è corso fuori. Jhonni ha cercato il traduttore perché non capivano cosa Alex stesse dicendo. Lo hanno seguito ma lo hanno subito perso di vista nel buio: non è vero che erano soli. Hanno sentito un urlo e subito dopo sono usciti per cercarlo in cinque, poi insieme a tutto il resto del gruppo. La zona era buia e non la conoscevano. Non sapevano se fosse andato nel bosco, o caduto. Non hanno sentito nessun rumore di caduta nell’acqua».

L’ipotesi dell’incidente e i purganti

Il sospetto per i due sciamani colombiani è che si sia trattato solo di un incidente. Considerano l’ipotesi dell’omicidio «senza senso». L’avvocato poi nega che alla cerimonia circolava la ayahuasca, l’erba allucinogena spesso usata nei riti sciamanici. Secondo i due colombiani a quel raduno circolavano solo «purganti». In particolare, spiega l’avvocato esperto del mondo sciamanico: «Erbe non psichedeliche che inducono il vomito, per la purificazione di ciò che si ha dentro».

Le medicine e i riti sciamanici

Quella sera secondo i due colombiani, Alex Marangon «era nervoso, provava a dire qualcosa. Può succedere che le persone si innervosiscano durante questi riti, non sono medicine per tutti quelle della cultura sciamanica precolombiana. Bisogna prepararsi. Si attraversano cose che si hanno dentro e questo fatto può generare conflitto, confusione. Il purgante non è psichedelico ma può dare rabbia o altri sentimenti forti. La scienza studia queste medicine per il valore terapeutico, ma ripeto, non sono per tutti».

Perché i due colombiani sono andati via

Prima che i carabinieri arrivassero all’abbazia la mattina del 29 giugno, i due colombiani si sono dileguati. Secondo il loro avvocato perché «avevano altri impegni fissati» e «non potevano trattenersi». Di certo, spiega l’avvocato «non sapevano che Alex fosse morto, pensavano che l’avrebbero ritrovato. Quando hanno ricevuto la notizia sono rimasti scioccati. E sono estremamente dispiaciuti per la famiglia che ora merita di sapere la verità».

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