La strategia di Giacomo Bozzoli per sfuggire all’ergastolo: chi è la rappresentante austriaca che proverebbe la sua innocenza
Punta giocarsi l’ultima carta possibile per evitare l’ergastolo Giacomo Bozzoli, rinchiuso ora nel carcere di Bollate dopo essere stato latitante per circa 10 giorni. Nonostante sia ormai diventata definitiva la condanna all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario, Bozzoli ribadisce di non essere lui il colpevole: «Lei non può mandare in galera un innocente», aveva detto al procuratore di Brescia Francesco Prete. Al magistrato aveva annunciato un memoriale che gli aveva spedito dall’estero, durante la latitanza. Ed è in quel testo che Bozzoli ha rilanciato l’ultima mossa per tornare libero parlando di «un testimone austriaco pronto a scagionarmi». Si tratterebbe di una donna, rappresentante di un’azienda austriaca in contatto con la fonderia di famiglia, dove l’8 ottobre 2015 è stato ucciso e fatto sparire lo zio di Giacomo Bozzoli.
Bozzoli avrebbe studiato a fondo le carte, sapendo che in realtà quel dettaglio sulla testimone austriaca era già emerso nell’inchiesta. Ma ci sarebbe un punto che secondo lui e i suoi avvocati non sarebbe stato approfondito con la dovuta attenzione. Nella ricostruzione fatta dal Corriere della Sera, si parte dai 4.400 euro in contanti trovati a casa di Giuseppe Ghirardini. Era l’operaio addetto al forno grande della fonderia della famiglia di Bozzoli. Ghirardini si era suicidato pochi giorni dopo la scomparsa del suo titolare. I giudici della corte d’assise d’appello hanno considerato Ghirardini responsabile almeno della sparizione del cadavere. Sempre le sentenze dicono che quei soldi sarebbero stati la prova della ricompensa, forse parziale, da parte di Giacomo Bozzoli. Le banconote erano state emesse dalla Banca centrale austriaca e non avevano impronte digitali.
Poi ci sono state le analisi sul traffico telefonico sull’utenza di Giacomo Bozzoli. Tra il 27 maggio e l’8 giugno 2015, l’imprenditore aveva contattato due utenze fisse austriache e un cellulare. Numeri associati a «un’azienda che lavorava nel settore dei metalli, la Montanwerke Brixlegg». Dei quattro scambi rilevati, gli ultimi due avevano localizzato l’utenza austriaca in provincia di Brescia. Dettaglio che secondo i giudici indicava i rapporti commerciali che aveva Bozzoli con quell’azienda. Nessun altro aveva interesse a consegnare quella somma a Ghirardini se non Bozzoli, concludono i giudici. Bozzoli aveva prima negato i rapporti con l’azienda austriaca, poi confermato i quattro contatti telefonici proprio con la rappresentante. La donna tira per lui sarebbe la testimone cruciale che proverebbe la sua innocenza.
Nel ricorso in Cassazione, gli avvocati Luigi Frattini e il figlio Giovanni avevano chiesto l’annullamento della condanna in secondo grado anche per manifesta illogicità. Il punto in questione era proprio l’esame omesso della rappresentante austriaca, titolare del telefono intestato alla sua società. Per gli avvocati sarebbe stato utile conoscere il contenuto di quelle conversazioni «e se l’azienda avesse stipulato con la Bozzoli o con lo stesso imputato accordi che comportassero consegna di denaro con banconote emesse dalla Banca centrale austriaca».
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