Dalle Azzorre alle Svalbard, le tracce già evidenti del collasso della Corrente del Golfo – L’intervista

Il rallentamento della corrente che mantiene mite il clima europeo sta già provocando cambiamenti per l’uomo. Il ricercatore Lorenzo Colantoni li racconta nel suo nuovo libro

In meno di 100 anni la Corrente del Golfo potrebbe collassare. Sembrava che l’interruzione di questo flusso di acqua calda che rende mite il clima europeo dovesse avvenire fra millenni, ma una nuova ricerca a marzo 2024 ha accorciato drammaticamente la prospettiva. Con questo presagio sullo sfondo si è concluso il viaggio di Lorenzo Colantoni, responsabile di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), giornalista e documentarista, specializzato in energia, ambiente e cambiamento climatico. Lungo la Corrente (Laterza) è il titolo del libro che racconta il suo percorso alla scoperta delle storie di adattamento climatico nell’Europa bagnata dall’acqua caraibica: dalle Azzorre alle Svalbard, passando per Spagna, Francia, Regno Unito e Scandinavia. Risponde da casa sua Colantoni, in una pausa romana tra i viaggi che lo portano – letteralmente – da una parte all’altra del mondo. Sulla parete dietro di lui, due mappe. Nella compressione dell’immagine della videochiamata si intravedono la sagoma della Turchia e quella del Giappone. Di cartine è pieno anche Lungo la Corrente. E lo è per una ragione specifica.


Lorenzo, noto una certa passione per le mappe.


«Ce l’ho da sempre. Le mappe, per un lavoro come questo, secondo me funzionano molto bene, perché raccontano un doppio aspetto delle questioni, che è un po’ il doppio aspetto che sta dietro al libro in sé, ossia quello scientifico e quello umano. La parte scientifica equivale e prendere il tuo punto di vista e tirarlo fuori. Così diventa schematico, dall’alto; metti tutto su un tavolo e vedi quello che sta succedendo. Poi c’è quello umano. Da bambino ricordo di aver visto questa mappa della corrente del golfo: gli esperti la chiamano nastro trasportatore. A me sembra il sistema circolatorio di un organismo. Mi fece capire che tutto è collegato».

Lorenzo Colantoni / Le tappe del viaggio

Ha fatto un viaggio seguendo la Corrente del Golfo perché questa rischia di collassare nei prossimi decenni. Cosa succederebbe?

«Prevederlo è molto difficile. Partendo dalle coste caraibiche del continente americano, la corrente porta acqua calda da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico e rende abitabili zone dell’Europa che altrimenti sarebbero gelide: il Regno Unito, la Danimarca, la Scandinavia. Se la corrente si fermasse, o si indebolisse, la temperatura media in Europa probabilmente crollerebbe. Ma a subire le conseguenze del cambiamento sarebbe anche la distribuzione delle piogge. L’Europa potrebbe diventare molto più arida, e certi luoghi attualmente abitati potrebbero diventare inospitali. Sono fenomeni difficilissimi da prevedere, perché contrariamente alla fluttuazione delle temperature, in questo caso non abbiamo precedenti su cui basarci. D’altronde, questo è uno dei motivi per cui trovo l’argomento così affascinante: per cercare di capire cosa succederebbe bisogna studiare storia e preistoria, bisogna diventare un po’ paleontologi e un po’ geografi».

Lorenzo Colantoni / Percorso della Corrente del Golfo nella circolazione atlantica

Eppure la geografia è una materia sempre più negletta…

«La geografia e il discorso ambientale nel suo complesso sono temi trasversali a quasi tutto. A scuola si dovrebbero incorporare queste materie in tutte le altre. Solo così si riuscirà ad avere una conoscenza mainstream dei fenomeni climatici e ambientali, e di come questi influenzano la nostra vita».

Nel libro racconta degli incontri che hai avuto con tante persone che combattono per adattarsi al cambiamento climatico. Quasi tutti sono convinti che ci riusciremo. Lei come la vede?

«Il viaggio che ho intrapreso serve proprio a rispondere a questa domanda. Mi sono fatto una mia opinione che espongo nell’ultimo capitolo. Credo che comunque, in un modo e nell’altro, su questo pianeta ci dobbiamo vivere. Soprattutto noi europei, poi, siamo abbastanza adattabili. Il punto principale è che ci sono persone molto convinte della risposta che si sono date – qualunque essa sia -, e altre che invece la domanda nemmeno se la pongono. Lo trovo assurdo».

Perché?

«Prima di iniziare questo viaggio pensavo che avrei incontrato moltissimi “negazionisti”. In realtà non ne ho incontrato nessuno. Se sei un agricoltore spagnolo e vedi che i tuoi pomodori maturano un mese e mezzo prima rispetto a vent’anni fa, non puoi credere che il cambiamento climatico non sia in corso. Eppure molti si fermano lì, ne prendono semplicemente atto, pur vivendolo quotidianamente, non si chiedono quanto grave sarà la situazione e cosa dovranno fare per adattarsi».

Nel suo viaggio ha incontrato molte persone che lavorano per adattarsi al cambiamento. Chi le ha trasmesso speranza?

«Ci sono due incontri che mi hanno toccato particolarmente. Il primo è stato in Scozia. Lì, negli anni ’70 hanno trovato il petrolio del Mare del Nord e la sua estrazione ha permesso agli scozzesi di uscire da una situazione economica precaria che durava da secoli. Non solo, ha anche dato loro una base su cui rivendicare l’indipendenza. Petrolio ce n’è ancora, ma la Scozia sta smantellando le piattaforme estrattive per trasformarsi in una potenza delle rinnovabili. Alle isole Orcadi, nell’estremo Nord, ho incontrato dei ragazzi del centro universitario che si occupa di rinnovabili. Mi viene in mente perché ho visto quanto ci credono. Ci sono delle soluzioni e loro le vogliono implementare. Non in una maniera aziendale o corporate, per farci profitto, ma perché ci tengono all’ambiente, loro e di tutti».  

Lorenzo Colantoni / Pale eoliche sulla costa scozzese

L’altro?

«L’altro è stato in Norvegia, con i Sami: gli ultimi indigeni d’Europa. Vivendo nell’Artico, sono più esposti al cambiamento climatico, dato che la regione si sta riscaldando molto più in fretta del resto del mondo. La loro cultura è stata messa a dura prova da 50 anni di scandinavizzazione. Ora, i ghiacci su cui si basa il loro modo di vivere stanno scomparendo. Eppure combattono e combattono tanto, e non perdono mai la speranza».

Lorenzo Colantoni / La Lapponia dei Sami

C’e stato un momento in cui la speranza l’ha persa?

«A Doñana, in Spagna – dove c’è una riserva naturale minacciata da desertificazione, urbanizzazione e agricoltura intensiva – mi sono trovato di fronte a una situazione talmente bloccata a livello sociale e politico che mi sono domandato: “ma se non si riesce ad agire in un contesto così grave, quando lo faremo?”. In realtà ora sembrano aver trovato un accordo, ma mentre scrivevo il libro la situazione era tragica. Ero lì nella settimana più calda del mese più caldo dell’estate più calda che la Spagna abbia mai vissuto, quella del 2023. C’erano 47 gradi e per il secondo anno consecutivo le lagune della riserva naturale si erano prosciugate, una cosa mai successa prima. La tensione era palpabile, perché la Spagna aveva la presidenza di turno del Consiglio Europeo e spingeva per far approvare la Nature Restoration Law, e nel frattempo erano anche state indette elezioni anticipate, con la speranza di fermare l’avanzata di Vox. Lì come in molte altre parti d’Europa compresa l’Italia, il partito fa leva sulla rabbia degli agricoltori, che si vedono privati del diritto, ottenuto principalmente dagli anni ’80 a questa parte in modi sia legali sia illegali, di prosciugare le riserve d’acqua per irrigare le colture intensive. Lì avevo un morale bassissimo. Non riuscivo a capacitarmi di questa immobilità. Avrei voluto urlare: “Ma non vedete che il mondo brucia davanti a noi?”».

Lorenzo Colantoni / Riserva naturale di Doñana

Come scrive nel libro, viviamo in un periodo storico dove sembra che “o stai con i fenicotteri o stai con gli agricoltori”. Come si supera questa fase?

«Quello tra natura e agricoltura è un falso contrasto, in teoria. Ma viviamo in un mondo in cui l’agricoltura soffre di problemi di dipendenza. Impoverisce il terreno e lo impregna di pesticidi; impoverisce i braccianti per arricchire pochi. Gli agricoltori si trovano in una posizione difficile e hanno margini di guadagno risicati. Solo che anziché affrontare la grande distribuzione, che è la causa di buona parte dei loro problemi scegliendo di spendere i soldi in mille modi che quasi mai incentivando un’agricoltura più sostenibile. Puntano il dito contro quelli che a loro sembrano i nemici: gli attivisti. Lo fanno in nome della difesa di una tradizione che in realtà non esiste: i nostri nonni non praticavano agricoltura intensiva, non estraevano l’acqua dalle falde ai ritmi attuali, non usavano i pesticidi odierni, non coltivavano avocado e fragole come avviene ora nel deserto spagnolo. E basta andare in un posto come le serre dell’Almería per accorgersene. C’è puzza di marcio, di plastica, mentre ero lì sentivo che la natura lì è morta. Nulla di tutto ciò si percepisce nei vigneti tradizionali e negli uliveti, che sono invece rimasti veramente a come li coltivavano i nostri nonni».

Non ne ha incontrati, ma se parlasse a chi non crede a tutto questo, cosa gli diresti?

«Lo prenderei e gli direi di guardarsi intorno, perché oggi la crisi climatica è più evidente che mai. Ma cercherei di capirlo. Sicuramente ha dei motivi alla base delle sue convinzioni. C’è un bisogno urgente di ricostruire la fiducia nella scienza e nell’autorità. Ma dev’essere fatto in maniera democratica. Io voglio che il negazionista diventi attivista, non che si senta un idiota. E l’unico modo per farlo è dare alle persone gli strumenti per comprendere quello che sentono e che leggono».

In copertina: Lorenzo Colantoni / Scatto da un’imbarcazione per lo studio della fauna marina al largo delle Azzorre

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