L’ex patron di Sanremo Aragozzini contro Amadeus: «Come uomo è inesistente. I suoi Festival? Musica americana copiata»
Nei primi anni Novanta è stato lui ad avere le chiavi dell’Ariston nella settimana più importante della musica italiana. E a 86 anni, una carriera intera dedicata allo spettacolo e un’attività di management ancora operativa, Adriano Aragozzini ha ancora un’idea ben precisa della direzione presa dal Festival di Sanremo negli ultimi anni sotto la direzione di Amadeus. Ma non solo. Anche sul livello della conduzione televisiva in Italia. Sulla situazione della Rai, che ha perso volti e programmi ma non per questo impoverita. E anche la lucidità di ammettere i due più grandi errori della sua vita professionale. «Prima facevo promozione degli artisti in tutto il mondo, un giorno ero in Argentina, uno in Messico, l’altro a Melbourne. Oggi si fa tutto col cellulare. Sono manager di un tenore meraviglioso che voglio lanciare, Giuseppe Gambi», dice ad Alessandra Menzani in un’intervista a Libero, dopo le celebrazioni delle nozze di sua figlia, «se lo piazzerò a Sanremo? Ci proverò, l’arrivo di Carlo Conti il prossimo anno è un fatto positivo per la musica italiana. Ha stile, classe, categoria. Può fare benissimo e mi dà fiducia. Perché il signor Amadeus, tanto celebrato per questo “miracolo d’ascolti”, ha americanizzato il Festival».
Perché Aragozzini critica Amadeus
Aragozzini è stato il patron del Festival di Sanremo dal 1989 al 1991, per poi tornare come produttore esecutivo fino al 1993. «Se va a vedere gli ascolti della Rai, nel mio Sanremo del 1989 non c’è stata una serata che Amadeus abbia battuto, ma nessuno lo ha scritto», rivendica i risultati della sua gestione, ammettendo che Amadeus «ha sicuramente riportato i giovani al Festival, cosa giusta. Ha scelto il meglio che c’è sui social, ma la musica italiana non è quella e non era rappresentata». Secondo Aragozzini infatti molti degli artisti selezionati dall’ex direttore artistico e conduttore delle passate edizioni non erano all’altezza. «Quella degli ultimi Festival è musica americana copiata. Il problema è che gli autori italiani e quelli americani hanno Dna differenti. Amadeus come artista non lo discuto, ma come uomo è inesistente», dice alla giornalista. Spiegando poi quando c’è stato attrito con il conduttore. «Ho dei messaggi sul telefono che conservo. Riguardano i giorni in cui l’ho cercato per proporre il mio artista, ma Amadeus ha scartato due brani. Uno scritto dal grande Maurizio Fabrizio, l’altro addirittura da un premio Oscar per la musica Luis Bacalov. Lui ha voluto scartare Adriano Aragozzini, non le canzoni», dice ancora scottato da quello scambio, «magari non ha capito le canzoni, che sono tipiche della melodia italiana. Cosa ci siamo scritti? Non lo dico perché non fa onore a lui né a me, ma sono tutti memorizzati».
La qualità degli attuali conduttori
Se su Carlo Conti e i presentatori della sua generazione è complessivamente positivo, non si può dire lo stesso di quelli più giovani. Giovani di talento alla conduzione televisiva? «Non ce ne sono. Alessandro Cattelan? Per carità. Stefano De Martino? Non mi sembra una star. Uno come Pippo Baudo nasce ogni cento anni, un nuovo Baudo non c’è. Mi piace Marco Liorni ma è sempre della generazione di Conti, eccetera. Guardi, se ci sono giovani bravi, io non ne conosco», dice lapidario. Parlando anche del fuggi fuggi dalla Rai nell’ultimo anno: «Non si è impoverita. Il gioco dei pacchi, suvvia, lo sanno fare tutti. La Rai sta facendo la politica di non spendere i soldi di un tempo, cosa che invece si possono permettere i colossi come Warner Discovery». Ma non è solo una questione di soldi: «I Festival di oggi sono più cari di quelli di un tempo», i grandi ospiti di un tempo «mica li pagava la Rai. Venivano in promozione. Nel 1990 piazzai Ray Charles in concorso con Toto Cutugno, che arrivò secondo. Il costo dell’artista era di cento milioni di vecchie lire, ma erano soldi che pagava la casa discografica Emi».
I due errori più grandi
Aragozzini è stato manager di alcuni dei più importanti artisti italiani. Primo tra tutti, Gino Paoli, ma poi curò la promozione artistica di Luigi Tenco, Domenico Modugno, Patty Pravo. E l’organizzazione di grandi eventi con Tuina Turner, Ray Charles, Ella Fitzgerald. Tra i tanti successi però, Aragozzini ammette due grandi errori fatti durante la sua carriera. Il primo fu Lucio Dalla, snobbato. Un giorno Paoli gli vole far conoscere il cantautore, ancora sconosciuto, dieci anni prima di esplodere come artista: « Ci siamo seduti al bar della Tiburtina. Arriva un signore basso, con il basco, vestito malissimo, con l’accento bolognese, aveva la mano sudata», ricorda oggi, più tardi poi disse di non potersene occupare, «tagliai corto. Tergiver- sai. E la cosa tramontò». E ci fu anche un secondo passo falso, «più grave». «Ero con Patty Pravo. Mi voleva presentare un amico. Era Renato Zero, che mi riempì di compli- menti, mi definiva il miglior impresario sulla piazza. Fissiamo un appuntamento nei giorni successivi, in ufficio», racconta ancora. A infastidirlo e bloccare le trattative, questa volta, un divano verde. «Mi era arrivato il giorno prima», spiega, «arriva Zero e si siede sul divano piantandoci su gli stivali. Si siede sulla spalliera e appoggia i piedi. “Mi vuoi?”, chiese. “Non ho tempo”, dissi. E se ne andò triste. Dopo poco vendette con il primo album un milione e mezzo di copie. Accidenti».
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