Tuonò contro Meloni sulla rottamazione fiscale di fine 2022. Poi il PD ci ha ripensato e ha chiesto per sé l’odiato condono
Quando Giorgia Meloni appena diventata presidente del consiglio a novembre 2022 varò la sua prima legge di Bilancio fu naturalmente bersagliata di critiche dal principale partito di opposizione, il Pd. Che nel mirino aveva soprattutto la «rottamazione quater» delle cartelle esattoriali fortemente voluta dal vicepremier, Matteo Salvini. Ironizzò sul punto Stefano Bonaccini, che con Elly Schlein correva per la segreteria del partito: «Ecco il condono, che con la destra non può mai mancare, come un marchio di fabbrica». Se ne lamentò anche Giuseppe Provenzano: «Regala un miliardo per il condono, un passo indietro rispetto alla lotta all’evasione». Il responsabile economico del Nazareno, Antonio Misiani censurò quel «condono che è uno schiaffo a chi è in regola». Tuonarono sul punto anche Chiara Gribaudo e Debora Serracchiani. Ma chi andò giù più pesante fu i l capogruppo del PD in commissione Bilancio della Camera, Ubaldo Pagano: «Diciamo basta a qualsiasi forma di condono, basta favorire gli evasori, basta aiutare dei criminali».
«Favorisce evasori e criminali». Ma alla fine ha favorito anche il Nazareno
Quell’indignazione verso il condono della destra deve avere lasciato in gran segreto il passo a più miti consigli. Perché passata qualche settimana da quelle dichiarazioni è accaduto che nella lista dei beneficiari di quel condono che secondo il Pd avrebbe dovuto «favorire gli evasori e aiutare i criminali» figura niente meno che il Partito democratico, appena passato alla guida di Elly Schlein. Che ha addirittura chiesto all’Agenzia delle Entrate e poi ottenuto dalla stessa di aderire alla sanatoria risparmiando le sanzioni previste e facendosi ammettere alla rateizzazione dei contributi per il personale che il partito non aveva versato agli istituti di previdenza, Inps e Inpgi prima di tutto.
La notizia data in burocratese nella nota che accompagna il bilancio 2023
La sorprendente notizia emerge ora dalla nota integrativa al bilancio 2023 del Partito democratico, dove l’estensore si prende ben guardia dal definire «condono» quel provvedimento della legge di Bilancio della Meloni. Ma spiega in burocratese: «il Partito, nell’anno 2023, ha ricevuto l’accoglimento della domanda presentata per l’adesione alla Definizione agevolata, prevista della Legge n. 197/2022. Conseguentemente, con riferimento ai Debiti verso Istituti di Previdenza, procederà a versare entro il 30/11/2027 le minori somme dovute». Ho lasciato l’abuso di lettere maiuscole perché così sono scritte nel bilancio del Pd, a mostrare grande reverenza non solo verso se stessi, ma anche verso quel provvedimento di legge che tanto indignava gli eletti del partito.
Il tesoriere del Pd conoscendo i suoi polli non ha messo il risparmio in bilancio
L’amministratore del Pd, il senatore Michele Fina, però non è che si fida troppo della sua compagnia e per evitare quel che accade di solito con le sanatorie fiscali (si paga la prima rata per interrompere l’azione esecutiva del fisco, e poi il ravvedimento finisce lì), opera una scelta prudenziale di bilancio. Così la spiega: «Poiché la legge succitata subordina l’efficacia degli effetti della definizione agevolata al puntuale pagamento delle rate previste, pur confidando nel rispetto del piano di rimborso previsto, per un principio di prudenza il Partito procederà a rilevare la relativa eventuale sopravvenienza nel 2027, ovvero nell’esercizio nel quale il provvedimento normativo produrrà certamente i suoi effetti». Lo sconto fiscale, quindi, non è stato contabilizzato in bilancio e per questo motivo non è evidenziato lo sconto fiscale ricevuto con l’adesione del partito al «condono».
La Schlein ha il problema di un esercito di dipendenti, più di ogni altro partito
I problemi con gli istituti di previdenza nascono anche dal fatto che il Pd è il solo partito ad avere ancora un piccolo esercito di dipendenti. Al 31 dicembre 2023 erano ancora 110 lavoratori subordinati e 7 collaboratori. Non tutti pesano sulle casse del partito, perché riassorbiti temporaneamente spesso da gruppi parlamentari, aziende o pubblica amministrazione. Nel dettaglio fra i 110 ci sono 18 giornalisti tutti a tempo pieno (6 però in aspettativa non retribuita e 2 in distacco) e 92 altri dipendenti, 89 a tempo pieno e 3 part time (ma 19 sono in aspettativa non retribuita e 3 sono in distacco). Durante il primo anno della Schlein il Pd è riuscito a incentivare all’esodo 6 dipendenti (che a inizio anno erano quindi 116), spendendo 222.875 euro in scivoli, poco più di 37 mila euro a testa.
Pronti nuovi scivoli per l’uscita e anche una mano per «ricollocare» il personale
Per il 2024 è stata accantonata in bilancio una cifra quasi doppia (410.065 euro) per l’incentivazione all’esodo di altri dipendenti. Come scrive il tesoriere del partito infatti «il 30 settembre 2024 scadrà l’ammortizzatore sociale della solidarietà. Il Partito, in un’ottica di riorganizzazione interna, spera di non procedere al rinnovo, ma, stante l’esubero strutturale, questo sarà possibile soltanto attraverso ricollocazioni esterne e a seguito dell’adesione a un percorso di esodo incentivato, per il quale il Partito ha accantonato nel 2023 ulteriori risorse». La Schlein, dunque, ha la stessa strategia usata in questo ultimo anno da Stellantis, che continua ad offrire piani di incentivazione all’esodo per migliaia di lavoratori di Melfi, Pomigliano e Mirafiori. Anche se il colosso privato non ha la possibilità, addirittura rivendicata dal Pd, di «ricollocazioni esterne» nell’amministrazione pubblica.
Le politiche sul lavoro parallele a quelle di Stellantis
Con Stellantis il Pd della Schlein ha in comune anche un altro aspetto: dichiarano entrambi esuberi di personale, però facendo buoni utili in bilancio. Quello di Stellantis nel 2023 è cresciuto dell’11% rispetto all’anno precedente, quello del Pd è cresciuto del doppio: +23,07%, chiudendo l’anno con un avanzo di amministrazione di 704.018 euro, che ha contribuito a portare in ampia sicurezza anche il patrimonio netto del partito che ormai ha assorbito tutte le perdite degli anni precedenti. Anche le disponibilità liquide sui conti correnti del partito dicono del buon momento finanziario: al 31 dicembre scorso ammontavano a 5.990.588 euro.
Pd finanziato dai contribuenti, assai meno dagli eletti che ora sono sotto tiro
L’utile di bilancio del Nazareno è dovuto integralmente al boom degli incassi dal 2 per mille Irpef, i maggiori della politica italiana: 8.118.192 euro. Meno entusiasmante per essere il primo anno della Schlein l’entrata dal tesseramento. 609.127 euro contro i 766.692 euro dell’anno precedente. Bisogna dire però che nel 2022 si era data una finestra supplementare per fare la tessera Pd proprio in vista del congresso che poi avrebbe eletto segretaria Elly. Anche peggio i contributi da persone fisiche, che si sono più che dimezzati: erano 3,8 milioni di euro nel 2022 e sono diventati 1,8 milioni di euro nel 2023. Bisogna dire però che quei contributi vengono quasi solo dalla autotassazione degli eletti e che nella legislatura che si è chiusa nel 2022 il Pd aveva 165 parlamentari e ora ne ha 109 anche per la riforma costituzionale sul taglio degli eletti. C’è però un discreto problema di morosità rispetto al contributo minimo che il partito chiede ai suoi. Ed è minaccioso su questo il tesoriere Fina: «nel 2024», scrive, «il Partito continuerà l’azione di recupero nei confronti dei parlamentari non in regola con i versamenti».
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