Il dolore della zia della piccola Elena Del Pozzo: «Per qualcuno la tua vita vale 30 anni»
«Elena non è andata in prima elementare perché la sua mamma voleva farsi una nuova vita e non poteva più tenerla. Una mattina mi sono svegliata con Elena addosso e le ho detto ridendo: “Amore sto morendo di caldo non puoi dormire sopra di me”(…). Le ho fatto la treccia e le ho detto: “La prossima volta che verrai a dormire da me non ti porto all’asilo, così ci svegliamo tardi”». Inizia così il lungo post di Martina Vanessa Del Pozzo, zia della piccola Elena, di quasi 5 anni, uccisa nel giugno 2022 e seppellita in un campo vicino casa, a Mascalucia da sua madre, Martina Patti. La donna, che subito dopo il delitto inscenò un finto rapimento della figlioletta depistando le indagini, è stata condannata venerdì 12 luglio a 30 anni di carcere per omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato. Martina Vanessa ricorda quella mattina, in cui accompagnò l’adorata nipotina all’asilo. Il suo post sta avendo centinaia di condivisioni. «Quella è stata l’ultima volta in cui l’ho vista. La sua mamma ci ha detto che andava a prenderla all’asilo, invece ha fatto finta di uscire a fare jogging e ha preso una pala per scavare una fossa. Poi è andata a prendere Ele e l’ha portata in un campo vicino casa, le ha messo dei sacchi in testa e l’ha accoltellata più di 11 volte, colpendo collo, orecchio e schiena».
«30 anni, perché la giustizia non è fatta da chi prova ogni giorno un dolore inimmaginabile, ma da chi questo dolore lo sconosce»
«Poi ha telefonato al papà di Elena e gli ha detto che la bimba era stata rubata da tre uomini incappucciati, ha fatto di tutto per depistare le indagini, ha lottato contro tutti per un intero giorno e un’intera notte, nel frattempo il corpicino di Ele è rimasto fermo, al buio. Elena è morta. Non ci sono parole, non c’è conforto, non c’è giustificazione, non ci possono essere attenuanti, se, ma… è morta, un mese prima di compiere 5 anni. Un PM per l’assassina di Elena ha chiesto 30 anni… La richiesta è stata accolta. Lo sapete perché succede? Perché la giustizia non è fatta da chi prova ogni giorno un dolore inimmaginabile, ma da chi questo dolore lo sconosce», spiega la ragazza condividendo la sua amarezza. E infine: «Oggi ho di nuovo caldo, ma non mi sono svegliata con Elena addosso. Qualche sera immagino Elena nel bosco, come in un film horror, che prega la sua mamma di fermarsi. L’amore mio una volta ha toccato una spina e ha pianto disperatamente. Confrontate una spina con un coltello. Non so se Elena si sia chiesta perché io non l’abbia salvata. Non so cosa ci sia stato in quei momenti nella sua testa, forse ha rivissuto i momenti più belli della sua vita, i cartoni animati, i giochi e il suo coniglietto Saro. Io non ero là a coprirle le spalle come in una delle nostre foto». Ricorda il film di Luì e Sofì, «ma Elena non andrà a vederlo perché è al cimitero». «Se potesse – spiega – mi chiederebbe: “Bubu ma la mia vita vale 30 anni?”. “Sì amore, per qualcuno la tua vita vale 30 anni”. “Ma anche se fossi stata la figlia di questo signore sarebbe forse stato lo stesso?”. “No amore, se fossi stata sua figlia non sarebbe stato lo stesso”». La sentenza su Martina Patti segue le richieste dell’accusa, guidata dal procuratore aggiunto Fabio Scavone e la sostituta Assunta Musella, che avevano sollecitato il riconoscimento delle attenuanti generiche, in considerazione della confessione e della collaborazione dell’imputata, della sua giovane età.
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