Bolkestein, incarichi, immigrazione: cosa vuole Giorgia Meloni in cambio del voto a Ursula von der Leyen

La partita delle nomine e i 24 voti di FdI. La premier e l’interesse dell’Italia. La discussione sul Green Deal e le partnership con i paesi terzi. Fino alla telefonata che forse non arriverà mai

La premier Giorgia Meloni tratta con Ursula von der Leyen. La candidata alla presidenza della Commissione Europea cerca voti per sua rielezione a Strasburgo domani, 18 luglio. Le servono almeno 361 voti, sulla carta ne ha molti di più ma i franchi tiratori sono in campo. Per questo l’ex ministra della Difesa tedesca vuole assicurarsi con i 24 voti degli eletti di Fratelli d’Italia. In cambio sul tavolo c’è un commissariato per il fedelissimo Raffaele Fitto. Che punta a un portafoglio economico con deleghe ambiziose: Concorrenza, Mercato Interno, Affari Economici, Bilancio. E alla poltrona di vicepresidente della Commissione. Meloni intanto chiede ai militanti del partito via mail. Le opzioni sono votarla, non votarla, astenersi, votarla solo se si impegna con l’Italia. E si prepara a decidere subito dopo il discorso e prima del voto.


«Per l’interesse dell’Italia»

La premier vuole alzare il prezzo dell’accordo «per l’interesse dell’Italia». Meloni fa sapere che «conta quello che c’è nel programma». E dice che «Se von der Leyen non scandirà pubblicamente le minime aperture fatte in privato sarà difficile che possa ottenere i nostri voti». Scartata, per ora, l’ipotesi astensione: «Dovremo spiegare pubblicamente la nostra scelta e lo faremo solo dopo che la candidata alla presidenza avrà parlato». Le richieste dei meloniani riguardano un radicale cambio di passo sul Green Deal e un approccio pragmatico sull’immigrazione. Ma c’è anche chi evoca il redde rationem. Con von der Leyen impallinata dai franchi tiratori e Roberta Metsola che assume l’incarico di presidente della Commissione Europea. FdI chiede a Ursula anche un impegno sulla Bolkestein. Alla liberalizzazione delle spiagge italiane la destra ha sempre opposto resistenza.


La trattativa di Ursula

La presidente della Commissione uscente si è trasferita da lunedì a Strasburgo. Ha visto, per ultimi, i Conservatori. E non li ha convinti. Ma la partita per il suo bis si gioca nel colloquio telefonico con Meloni il suo momento chiave. Ursula ha detto di aver trascorso «un’ora intensa» con Ecr. Sulla migrazione, spiegano fonti parlamentari, a FdI è piaciuta la volontà di von der Leyen di continuare con le partnership con i Paesi terzi. Sul Green Deal, invece, la fumata è stata grigio-nera. «Serve un radicale cambio di passo e il superamento di un approccio ideologico sulla transizione», ha sottolineato Carlo Fidanza, primo a parlare nel gruppo. I polacchi del Pis hanno usato toni ancora più netti, Marion Marechal non è stata da meno. La gran parte di Ecr è orientata per il no, al massimo per l’astensione (che comunque vale come voto contrario). La riunione è terminata con pochi sorrisi e tanti punti interrogativi.

La telefonata

La telefonata con Meloni, con il passare dei giorni, rischia di non arrivare mai. Da qui a mercoledì sera ogni momento può essere quello buono. Con la premier von der Leyen dovrà parlare del peso che avrà l’Italia nella Commissione del futuro. E per incassare il sì dei 24 meloniani dovrà assicurare alla loro leader una vicepresidenza dell’esecutivo Ue. Andando oltre l’assegnazione di una delega di peso. Ma von der Leyen ha un problema con Ecr. Un endorsement dei meloniani potrebbe allargare la pattuglia dei franchi tiratori, soprattutto tra i Liberali e i Socialisti. E potrebbe far evaporare l’aiuto dei Verdi, al momento piuttosto sicuro e anche corposo: si tratta, in teoria, di 53 voti. I tre partiti filo-Ue contano 401 eletti. Con il supporto dei Verdi von der Leyen avrebbe un margine di oltre 90 voti rispetto al quorum di 361. «Non c’è altra scelta», spiega al Parlamento Europeo chi è convinto che, seppur senza entusiasmo, von der Leyen ce la farà.

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