Meloni-Von der Leyen, ultima notte di tormenti prima del voto. Così i Verdi vogliono rovinare la festa alla premier italiana – Il video

Domani alle 13 il voto di fiducia sul bis per la presidente della Commissione. Meloni tiene le carte coperte, ma la sua scelta alla fine potrebb’essere ininfluente

Da Strasburgo – Se Ursula von der Leyen dovesse impostare una nuova suoneria per la sveglia di domattina, sarebbe certamente The Final Countdown. Successo iconico di una band svedese, d’altronde, chiamata Europe. Il conto alla rovescia è quello delle ore che la separano dal voto di fiducia per un secondo mandato alla guida della Commissione, certo. Ma anche quello degli eurodeputati pronta a sostenerla nell’Aula di Strasburgo. L’appuntamento è fissato per domani alle 13, come ormai arcinoto, anche se molto – se non tutto – si capirà già ore prima. Von der Leyen farà il suo ingresso nel nuovo Parlamento europeo domattina alle 9 per pronunciare il discorso d’indirizzo politico che tutti attendono come «rivelatore». Le delegazioni dei partiti lo avranno tra le mani già dalle 8, e dopo aver ascoltato quelle political guidelines in Aula avranno ancora qualche ora per prendere la decisione finale: votarle la fiducia o negargliela. Come andrà a finire? Sui giornali italiani sono scorsi per settimane fiumi d’inchiostro, soprattutto sulla scelta cui è attesa Giorgia Meloni. Più importanti di interviste e retroscena sono però i fatti, quelli avvenuti in queste prime 48 ore di legislatura. Che dicono, sino a qui, una cosa piuttosto chiara: un embrione di maggioranza si è già formato.


Cordone sanitario e Ucraina: i primi indizi politici

I primi test chiave erano in programma dopo l’elezione di Roberta Mestola, e hanno funzionato: i partiti europeisti hanno fatto blocco comune per votarsi a vicenda i primi 11 vicepresidenti del Parlamento, e per tenere fuori da ogni incarico i candidati “impresentabili” dei Patrioti (Orban/Le Pen/Salvini) e degli ultra-sovranisti di Afd & co. Cordone sanitario steso, c’è da giurare, di qui ai prossimi cinque anni. Quindi, ma solo al secondo scrutinio – come ha fatto notare con malizia Pina Picierno, rieletta vice di Metsola per il Pd – hanno lasciato che ascendessero alla stessa carica anche i due candidati dei Conservatori – il lettone Roberts Zīle e la meloniana Antonella Sberna – e quello della Sinistra – il francese Younous Omarjee. Come a dire, implicitamente, che la maggioranza che «comanda» è fatta e formata: Ppe, Socialisti, Renew (liberali) e Verdi. Poi, su temi o ruoli di natura istituzionale, si può dialogare ed «associare» anche le due ali: a destra i Conservatori, a sinistra The Left. Gli altri – gli estremisti veri – possono accomodarsi sui loro seggi di eurodeputati, e da nessun’altra parte. Anche nel secondo voto politico della sessione, quello svoltosi stamattina sul tema del sostegno all’Ucraina, il blocco dei partiti europeisti ha retto, facendo passare con maggioranza oceanica una risoluzione molto forte, che condanna esplicitamente i viaggi a cuor leggero per il mondo di Viktor Orban (altra randellata ai sovranisti) mentre promette a Kiev assistenza militare «per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma necessaria». Non era scontato che Verdi e Socialisti avrebbero serrato i ranghi su parole così forti, invece è successo (al netto di una manciata di defezioni – tra cui quelle di Cecilia Strada e Marco Tarquinio dal gruppo Pd). Più scontato era il sì dato in gran parte anche da Ecr.


La scommessa dei Verdi

Il dato politico è però che l’asse tra «vecchi cari nemici» Popolari e Socialisti regge, e soprattutto che i Verdi confermano di avere una gran voglia di entrare nella nuova maggioranza. Tra esponenti e dirigenti della famiglia ecologista, oggi a Strasburgo, era tutto un sorriso, se non proprio un brindisi. Atmosfera che fa a pugni con gli ostinati silenzi e indizi contrastanti che sparpagliano gli esponenti di Fratelli d’Italia, in attesa della decisione di domani. I Verdi, secondo autorevoli fonti interne consultate da Open nel pomeriggio, sono ottimisti in vista di domani, ragionevolmente convinti che il discorso di Von der Leyen tradurrà nero su bianco le garanzie date nei giorni scorsi: sulla prosecuzione dell’impegno per la transizione ecologica da un lato, per il rispetto dello stato di diritto dall’altro. E se così sarà, continuano le fonti, «sarà ben difficile che quel discorso possa portare a votare sì anche Fratelli d’Italia». La scommessa dei Verdi, insomma (e un bel pezzo di socialisti e liberali europei ne sarebbe altrettanto felice) è quella di spingere di fatto Meloni gentilmente fuori dalla porta della nuova maggioranza. Un po’ come hanno fatto, con metodo forse perfino più brutale, Scholz, Tusk, Sanchez e Macron all’indomani delle Europee quando hanno di fatto deciso le alte cariche dell’Ue senza neppure consultare Meloni.

Cosa rischia Meloni

Se così sarà – le parole di Von der Leyen che in questi minuti il suo team sta limando lo dovranno confermare – la scelta di voto della premier italiana diventerà del tutto ininfluente. Una maggioranza a 4 fondata su Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi può contare infatti sulla carta su 452 eurodeputati. Anche al netto di qualche decina di contrari e astenuti in dissenso dai loro gruppi, considerate fisiologiche, la maggioranza di 361 dovrebbe risultare ampiamente superata. E gli ecologisti contribuirebbero in tal modo alla seconda «incoronazione» di Von der Leyen, forse con un apporto numerico (e politico) decisivo. Meloni ne uscirebbe con ogni probabilità per la seconda volta nell’arco di poche settimane infuriata. Ma anche consapevole che, passata la sbornia sotto l’ombrellone di agosto, da settembre l’Italia non potrà che collaborare con la nuova Commissione europea: sui miliardi ancora da incassare del Pnrr e quelli da investire nelle prossime manovre di bilancio, il filo diretto con Bruxelles sarà comunque troppo importante. A meno di non volersi lasciar andare a una nuova deriva nazional-populista già in sintonia col ritorno negli Usa di Donald Trump. Ma sarebbe, quella sì, una strada suicida.

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