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Martina Oppelli, malata di sclerosi multipla: «Ma secondo voi come mangio? Come bevo? Ho diritto di scegliere»

18 Luglio 2024 - 07:27 Alba Romano
martina oppelli
martina oppelli
IL tribunale di Trieste le ha dato ragione sul suicidio assistito

Martina Oppelli, 49 anni, è architetta a Trieste. È malata di sclerosi multipla. Si trova su una sedia a rotelle e non riesce a muovere le dita delle mani. Un anno fa aveva chiesto all’Asl universitaria Giuliano Isontina la possibilità di accedere al fine vita. Dopo otto mesi si è vista rispondere con un diniego. Ieri il tribunale di Trieste le ha dato ragione. «Ma secondo voi, io come mangio? Come bevo? Come mi lavo? Vado in bagno? Come assumo i farmaci? Io non sopravvivo senza una persona vicina. Certo, non sono macchine, sono persone», dice oggi a Repubblica. E ancora: «Venite a vedere come vivo, prima di negarmi la libertà di scegliere».

Il tribunale

La sentenza del tribunale, per Oppelli, «non è una battaglia e non è una vittoria. È un percorso, che sono decisa a compiere con l’aiuto dell’associazione Luca Coscioni». Poi racconta la sua storia: «Un quarto di secolo di incurabilità: metà della mia vita è stata dominata dalla malattia. Avevo 28 anni, mi ero da poco laureata a Venezia e avrei voluto vivere lì ma lì non ci sono potuta rimanere. Come potrebbe una nelle mie condizioni sopravvivere a una città di ponti e calli?».

Ora, dice, assiste giorno dopo giorno alla perdita del suo corpo «pezzo dopo pezzo. Mi rimane la mente e per ora anche il sorriso». Ha chiesto il suicidio assistito «il 6 aprile 2023, era il giovedì santo. Io sono cattolica. Stavo guardando la messa del Papa in televisione, parlava delle schiave. E io mi sentii la più grande delle schiave. Passai i tre giorni successivi a informarmi e compilare richieste. Ho firmato i moduli reggendo la penna con la bocca».

Pezzo dopo pezzo

L’Asl le ha detto di no e lei stava programmando di andare in Svizzera: «La sentenza della Consulta garantisce il suicidio medicalmente assistito in presenza di quattro requisiti: una patologia irreversibile; una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; una patologia che crea sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; una persona che sia in grado di esprimere un consenso libero e consapevole. Dicono che nel mio caso non vi sia un sostegno vitale». Invece, spiega, «da sola non posso mangiare, bere, non posso muovermi. Se mi sbilancio con la testa in avanti, non riesco a raddrizzarmi. Ho bisogno di una persona accanto 24 ore al giorno. Non è sostegno vitale questo?».

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