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Il nuovo disco di Eminem è un manifesto di malinconia per un’era che non tornerà più

21 Luglio 2024 - 21:31 Gabriele Fazio
Il nuovo album del rapper di Detroit, «The Death of Slim Shady (Coup de Grâce)», è il dodicesimo della sua carriera

L’uscita di un disco di Eminem rappresenterà per sempre un evento, perché in pochi artisti sono riusciti a lasciare un segno preciso, distinguibilissimo, come lui, nella storia della musica. Il suo liricismo, da bianco di Detroit, è stato letteralmente inarrivabile, riuscendo a contribuire alla diffusione del rap su larga scala mainstream, ai livelli delle superstar mondiali del pop, senza tradire mai i connotati sociali, politici e sentimentali della disciplina. Ecco perché The Death of Slim Shady (Coup de Grâce), il suo ultimo disco è da considerare come un capitolo di una storia incredibile. Poi naturalmente c’è da analizzare il lavoro inserendolo in uno scenario, in un contesto, in un panorama, che negli anni è fisiologicamente mutato. Perché da quel 1997, anno in cui Eminem inventa l’alter ego Slim Shady, lo stesso che fa morire (ma se ci riesce non è chiaro) in questo suo ultimo disco, gli ascoltatori sono cambiati, i supporti sono cambiati, così come i meccanismi di vendita e distribuzione della musica. Il rap non ne parliamo: da genere di protesta, da metodo per strappare una voce, come simbolo di una rivalsa sociale che bruciava forte, è diventato purissimo mainstream (il caso italiano in questo senso sarebbe esemplificativo, decisamente più plastificato anche dello stesso pop).

Un disco, due facce

16 tracce più tre brevi skit in cui è complesso andare a trovare una linea di pensiero univoca, netta, limpida. Il flow è il suo, invecchiato si, ma piuttosto bene, quel parlato da personaggio, quasi da cartone animato distorto, incattivito, immediatamente ti riporta con felice nostalgia ad Eminem, l’Eminem che hai tanto amato, capace di raccontare un disagio talmente autentico da permettere a chiunque, a qualsiasi latitudine del globo, di riconoscercisi dentro. La penna è la sua, specie in termini di tecnica, di mera costruzione delle barre, con quel zigzagare ipnotico che rimbomba tra bocca e gola. Poi però c’è un’altra faccia della medaglia, che trasforma quella tenera nostalgia in una profonda malinconia: realizzare che un certo tempo non tornerà più e non c’è niente da fare. Sono ormai tanti anni che non ascoltiamo più quel rap bombarolo e illuminante, quello che abbiamo percepito così reale e non un compromesso industriale, a tratti anche piacevole (pensiamo a Those Kinda Nights con Ed Sheeran, Godzilla con Juice WRLD, The Ringer o Lucky You con Joyner Lucas), con quel progresso del mercato discografico di cui sopra. Forse l’ultimo sussulto in The Marshall Mathers LP 2 e parliamo del 2013, oltre dieci anni fa, con Bad Guy, Survival e soprattutto quella perla irripetibile di Rap God. Una faccia della medaglia che non brilla certamente per i contenuti, Eminem sta sul ring come un pugile che ha nei guantoni gli ultimissimi pugni, nessuno di questi però da KO. Negli ultimi dieci anni ha attraversato quella che riconosciamo come una crisi creativa, una roba piuttosto comune, anche tra i giganti: l’incapacità di trovare un nemico credibile, la giusta battaglia da combattere. In The Death of Slim Shady (Coup de Grâce) invece sembra che il tema ci sia, d’altra parte è quello che ha tenuto col fiato sospeso milioni di fan, alimentando un’aspettativa soffocante e anche piuttosto intima, che travalica il gusto musicale e diventa quasi personale, una storia tra te ed Eminem, che da artista colossale quale è, deve assolutamente essere capace di portare con sé anche te e quel tuo tempo che ti manca così tanto.

Solo che naturalmente un artista, per quanto bravo, per quanto fondamentale, per quanto Eminem, non ha ancora questi poteri. A mancare è la sua sagacia, si sente che vuole pungere ma ci riesce solo a strappi, non riconosciamo quell’effetto mitraglietta che lo ha sempre caratterizzato. Sì, dissa Machine Gun Kelly. Sì, torna ad attaccare, giusto per il gusto della provocazione, per l’ennesima volta, il povero Christopher Reeves. Si, prende per i fondelli Kanye West, che è diventato ormai sport nazionale. E trova spazio anche per evidenziare i limiti grammaticali della Gen Z, presa di mira con grande durezza, colpevole forse di non celebrarlo come i fratelli maggiori e che con i propri gusti rischia di vaporizzarlo. Ma questa resa dei conti con i fantasmi propri e del rap in generale, appare un po’ confusa e poco ficcante, poco memorabile. Non è forse un caso che poi alla fine uno dei pezzi che possiamo ritenere più autentici è quello finale, Somebody Save Me, in cui non c’è Eminem, non c’è Marshall Mathers e non c’è nemmeno Slim Shady, c’è soltanto un padre che chiede scusa per aver anteposto alla famiglia le droghe.

Cosa c’è di sbagliato, cosa c’è di passato

Se il contenuto del disco convince fino ad un certo punto, lo stesso possiamo dire del suono. Mettendo da parte Lucifer e Road Rage, prodotti insieme a quel genio assoluto di Dr. Dre, la direzione intrapresa dall’album in termini di sonorità lascia perplessi. Non si riconosce un reale tentativo di far suonare il rap di Eminem come oggi suona il rap da classifica, infatti se consultiamo la Top50 Global di Spotify, sette giorni dopo l’uscita, non troviamo nemmeno un pezzo del disco nelle prime dieci posizioni. Non si riconosce nemmeno l’intento di creare un prodotto fuori dagli schemi, andando magari a recuperare precisamente il suono del 1997, quasi come atto provocatorio, oppure come stile narrativo preciso. Ci si limita ad un omaggio a Notorious B.I.G. e 2Pac in Fuel, e non è nemmeno uno dei passaggi più entusiasmanti dell’album. Questo fa si che se The Death of Slim Shady (Coup de Grâce) in qualche modo voleva provare a rilanciare verso una fascia di pubblico anagraficamente più piccola (e più larga) la figura di Eminem, se l’intento era lucidare la stoffa del mito, quale lui comunque resta, senza se e senza ma, allora forse la missione si può considerare fallita. Il dubbio che resta ascoltando questo disco è capire quanto ci sia di sbagliato e quanto ci sia di passato. Quanto sono state le scelte prese, giustamente e di carattere, ad aver mancato il bersaglio, seppur di poco, seppur non completamente, o quanto non sia arrivato (non ancora, speriamo) il tempo di una maturazione più alta di Eminem: il momento della saggezza, quello in cui lo troveremo davvero risolto, come persona e come artista, e quindi anche più libero e di conforto, vicino alle nostre storie come lo era vent’anni fa. O forse il nostro ragionamento è figlio di un’aspettativa che non poteva che essere altissima e che forse (speriamo di no) mai verrà soddisfatta davvero. E allora The Death of Slim Shady (Coup de Grâce) potremmo considerarlo un nuovo capitolo di una storia che rimane comunque, per sempre, meravigliosa. E allora forse serve giusto per ricordarci che siamo stati fortunati a vivere Eminem in una ben precisa fase delle nostre vite, la nostra e la sua, e che se anche lui, quella fase, quel mondo, quella musica, la nostra adolescenza, non torneranno (e, spiace ammetterlo: non torneranno) sarà stato comunque bello esserci. Tutto molto triste. Tutto molto confortante. E questo è sempre stato Eminem.

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