La storia di Giacomo, il bambino che a due anni dice solo «apri e chiudi» nel carcere di Rebibbia
Giacomo ha due anni, è sovrappeso, ha deficit motori e di linguaggio, porta ancora il pannolino. Giacomo si entusiasma se vede una moto, un parco perché li vede raramente. Vive a Rebibbia, tra le sbarre del carcere, con la mamma (il papà è detenuto in un’altra ala). Dice «si», «no», «mamma», «pappa» e quasi nessun altra parola. Ed è così probabilmente perché passa il suo tempo in cella, dove non dovrebbe stare. A parlare della sua storia è Repubblica, attraverso il racconto di una delle volontarie dell’associazione “A Roma insieme-Leda Colombini”, che hanno dato alla direzione della struttura penitenziaria romana la disponibilità a portare il piccolo ad un nido esterno la mattina e a riportarlo in carcere nel pomeriggio. Una vicenda che allarma, spiega il quotidiano, alla vigilia dell’esame in aula del disegno di legge sicurezza che fa venir meno l’obbligo delle misure alternative per donne con figli minori di un anno.
Giacomo e il ritorno la sera in carcere dopo il nido. «Quando vede il cancello dice ‘chiudi’. Sa che le guardie ce lo richiudono subito alle spalle».
«Lui è contentissimo di andare al nido – spiega la volontaria – io entro con l’auto dentro il carcere, quando salgo a prenderlo lo trovo dietro il vetro di sicurezza con le sbarre che mi aspetta. Mi vede e gli si illumina il viso. Scendiamo insieme i 16 gradini che portano all’atrio e provo a fargli ripetere i numeri. Poi quando in auto aspettiamo che le guardie aprano il cancello, lui cominciare a dire: “Apri, apri, apri”. Giacomo, sei contento di andare a scuola? “Si”. “Di vedere la tua maestra?” Si”, “E i tuoi compagni? “Si”». «Quando ci avviciniamo a Rebibbia e lui riconosce le mura di cinta, allora dice sempre “mamma” – racconta – capisce che lo sto riportando da lei. E mi si stringe il cuore quando, dopo aver varcato il grande cancello di ferro con le sbarre, Giacomo dice ‘chiudi’. Sa che le guardie ce lo richiudono subito alle spalle». Il resto del tempo il piccolo lo passa davanti ai cartoni, la mamma gli dà quello che passa la struttura o quello che trova per lui allo spaccio. Il minore, sottolineano su Repubblica, è vittima anche della burocrazia, di una lunga attesa per una valutazione. Aspetta quindi di stare in un posto migliore, mentre il tempo, in una fase fondamentale della sua vita, passa.
(in copertina due bambini figli di detenute, rientrano da scuola accompagnati da due volontarie nella Casa circondariale – Istituto a Custodia Attenuata per Madri (ICAM) nella Casa circondariale – Lorusso Cutugno, Torino, 8 aprile 2022. ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
Leggi anche:
- Chico Forti, visite contingentate in carcere dopo le presunte minacce a Travaglio e Lucarelli. Gli avvocati: «Troppe richieste di incontro»
- Trieste, detenuto muore per overdose. Il giorno prima del decesso saccheggio di metadone nell’infermeria
- Ddl Sicurezza, stretta sulle borseggiatrici: sì al carcere per le donne incinte e aggravanti per i reati commessi su treni e stazioni