Andrea Joly, il giornalista aggredito dai militanti di Casapound a Torino: «Una stretta al collo mi ha tolto il respiro»

Il racconto: due ragazzi si avvicinano e gli chiedono di cancellare le foto. Poi i calci e le botte. Fino alla fuga

Andrea Joly è il giornalista de La Stampa aggredito a Torino fuori da un locale a San Salvario. Due dei presunti autori dell’aggressione sono stati individuati e denunciati dalla polizia. Il giornalista passava davanti a L’Asso di Bastoni mentre era in corso «La Festa della Torino Nera». Ha iniziato a girare un filmato. A quel punto alcune persone gli hanno intimato di consegnare il telefono. Poi lo hanno preso a spintoni e calci. I due fermati sono militanti di Casapound. Per entrambi è in arrivo la denuncia per lesioni personali con l’aggravante di aver agevolato l’attività di organizzazioni e gruppi che hanno tra i loro scopi la discriminazione o l’odio etnico, razziale o religioso. Joly ha raccontato su La Stampa e in un’intervista a Repubblica i dettagli dell’aggressione.


«Oh, ‘sti video?». «Cancella le foto»

Alle 23,57, dopo il suo arrivo nel locale, Joly comincia a girare filmati e a scattare foto quando due ragazzi presenti al raduno lo fissano e poi si avvicinano a lui. «“Oh ’sti video?”. “Sei con noi?”. “Cancella le foto”. Sento i loro corpi avvicinarsi, toccarmi, la mano che ha afferrato lo schermo non sembra voler mollare la presa. Tutto si fa veloce, anche io. Sposto lo smartphone, arretro, uno dei due urla «Marco! Marco!». Sento la tensione salire, com’è appena accaduto dentro al circolo. Ma questa volta non si ferma. Mi giro, faccio due passi. Sento arrivare un calcio da dietro. Sono a terra. Non sento nessun dolore, non sento niente: anestesia totale. Intorno a me urla irriconoscibili, presenze che si moltiplicano. Mi alzo, ma sono di nuovo a terra. Lo smartphone è volato via, vedo lo schermo illuminato. Mi allungo, lo stringo, intorno a me continuo a percepire colpi che non sento arrivare. Ma arrivano».


Molto giovani, sulla trentina

Joly dice a Repubblica che i suoi aggressori erano «molto giovani, sulla trentina, un po’ più grandi di me (ha 28 anni, ndr)». Non sono riusciti a strappargli il cellulare perché lo ha sempre tenuto stretto: «Però mi sono venuti addosso e sono caduto quasi subito. Lo smartphone mi sfugge, ma poi lo riprendo con uno scatto. Cado ancora, non faccio nemmeno due passi. Provo ancora a rialzarmi ma non riesco. Da terra ho sentito arrivare i colpi, senza però rendermi bene conto. Provavo dolore, naturalmente, e avevo l’istinto di ripararmi». A quel punto sente qualcuno che gli cinge il collo da dietro: «Mi toglie il respiro. Non perdo conoscenza ma ho una chiara sensazione di soffocamento. Per mia fortuna riesco a liberarmi e a scappare. Stavolta senza cadere».

La fuga

Poi c’è il racconto della fuga: «Corro per un paio di isolati per raggiungere l’auto che avevo parcheggiato non troppo vicino da lì. Intanto, dai balconi sento qualcuno che grida “lasciatelo stare”, ma è tutto confuso: ho ritrovato il filo guardando i video degli altri». Ora si sente «tutto intero, senza nulla di rotto, soltanto qualche ammaccatura. Ho ferite a un gomito e alle ginocchia, conseguenza, credo, delle cadute, ma insomma è andata bene. Prima di raggiungere il pronto soccorso ho preferito passare da casa, ero molto scosso, volevo farmi una doccia per togliermi il sangue di dosso. Poi ho chiamato i miei capi al giornale, e loro mi hanno detto di andare subito all’ospedale. Alle Molinette sono stati molto gentili, mi hanno visitato rispettando le urgenze, e verso le sei di mattina sono tornato a casa».

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