La mafia e il Ponte sullo Stretto di Messina: l’indagine che parte da Milano e Webuild

La storia di un costruttore e un ristoratore collegati alle cosche di Barcellona Pozzo di Gotto. E di un dipendente che voleva farci un affare

Un alert sulle infiltrazioni mafiose nei lavori per il Ponte sullo Stretto di Messina. Arriva da Milano, dove un’inchiesta della procura ha acceso un faro sulla cosca di Barcellona Pozzo di Gotto. Che si è già seduta al tavolo della spartizione dei cantieri dello scalo ferroviario di Porta Romana. Dove è in costruzione il villaggio olimpico. Con i soldi del Pnrr: 250 milioni di euro. Per appalti ottenuti da comuni, Difesa e Aeronautica militare. L’edizione palermitana di Repubblica racconta la storia di Giovanni Buontempo e Francesco Scirocco. Ufficialmente ristoratore e costruttore di Gioiosa Marea. Ma con una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Entrambi sono finiti in carcere qualche giorno fa. Mentre gli inquirenti hanno scoperto la loro rete di prestanome. Fatta di familiari, colf e collaboratori storici.


La cosca e Webuild

Secondo il racconto delle carte dell’indagine i due hanno agganciato Danilo Condipondero, dipendente di Webuild. Che era in cerca di un immobile in zona compatibile con i futuri cantieri. Intestato a Scirocco. Ma lui non può comparire proprio a causa delle condanne. Alla fine l’affare non si chiude. Ma per gli investigatori, «è sicuramente di estremo interesse investigativo il fatto che uno dei referenti di una società a partecipazione statale come Webuild, deputata a costruire una delle più imponenti opere pubbliche italiane, si renda disponibile ad un incontro con un noto pregiudicato per reati di mafia al fine di trattare con lui un’operazione immobiliare». Chi indaga dice anche che è impossibile che il dipendente di Webuild non conoscesse i trascorsi di Buontempo. E nelle intercettazioni si parla anche di «forniture». Segnalandone l’importanza.


La reazione

Secondo Webuild il suo dipendente è solo un «assistente contabile di magazzino». Mentre «le procedure di selezione dei fornitori ed i controlli istituiti a tutela della legalità avrebbero in ogni caso reso del tutto improbabile la stipula di atti o contratti con i soggetti indicati o con società agli stessi riferiti». Nel caso degli espropri individuati come necessari dalla Stretto di Messina, è però successo poco. La cava di proprietà dei familiari del boss Mancuso è ancora fra le particelle che la società vuole, conferma l’avvocata Rossella Bulsei. «Da tutti i piani hanno stralciato solo qualche porzione di servitù temporanea, ma immobili e terreni sono per lo più sovrapponibili».

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