Il boom di donazioni per Kamala Harris: dai Soros ai piccoli donatori, chi sono i finanziatori della corsa alla Casa Bianca

La campagna per l’elezione della vicepresidente ha raccolto già 100 milioni di dollari. Merito dei “mega donatori” democratici ma anche di associazioni e gruppi che si stanno movimentando per la sua corsa

Dal giorno dell’annuncio della sua corsa alla presidenza a oggi, Kamala Harris ha raccolto 100 milioni di dollari dai donatori. A dare la notizia è lo staff della vicepresidente, che ci tiene a specificare come l’ingente somma non arrivi solo dai cosiddetti big dollar donor, ovvero i grandi finanziatori del partito democratico, ma anche da semplici cittadini e cittadine che attraverso le piattaforme online di raccolta fondi hanno deciso di finanziare la campagna elettorale targata Harris: Il 60% di questi – si legge nella nota – sono first time donor, ovvero persone che hanno donato per la prima volta in questa elezione presidenziale. Un entusiasmo che ha già prodotto diversi aneddoti. Domenica notte, ad esempio, durante la conferenza online dell’associazione #WinWithBlackWomen a cui partecipavano circa 1000 donne, subito dopo l’annuncio della candidatura di Harris altre 30mila hanno chiesto accesso alla piattaforma Zoom per commentare la svolta, raccogliendo in tempo reale 1,5 milioni di dollari per la campagna Harris. Un altro record che si aggiunge a quello degli 81 milioni di dollari raccolti nelle prime 24 ore seguite all’annuncio, una cifra mai raggiunta da nessuno in così poco tempo e che comprende quasi 900mila donatori dal basso (di cui 500mila al debutto come supporter del partito). Parallelamente i super Pac democratici – le organizzazioni fondate per sostenere candidati e temi politici ma che non possono finanziarli in maniera diretta – hanno registrato un’impennata di donazioni: il più importante, Future Forward, ha raccolto 150 milioni di dollari da nuovi donatori.


Chi finanzia Harris

Pensare che nel primo giorno della sua prima deludente campagna elettorale, nel 2020, Harris era riuscita a raccogliere solo 1 milione e mezzo di dollari. Altri tempi, segnati anche da una certa riluttanza da parte dell’ex senatrice a ricevere finanziamenti da milionari e da organizzazioni legate alle aziende. A distanza di quattro anni – e con Donald Trump da battere -, il sostegno per diventare prima la candidata ufficiale del partito, e poi presidente degli Stati Uniti passa necessariamente dai padroni della finanza e dell’industria Usa. E non si tratta solo dei soliti George e Alex Soros, che hanno già garantito sostegno economico alla vice presidente. «Tra coloro che dovrebbero aiutare la candidatura di Harris per la nomination – ha scritto il ben informato Semafor – ci sono Blair Effron di Centerview, Jonathan Gray di Blackstone, Peter Orszag e Ray McGuire di Lazard, Brad Karp di Paul Weiss e Roger Altman di Evercore». Più controversa la partita in Silicon Valley. Il mondo tech, che aveva supportato con grande entusiasmo la giovane Harris aspirante procuratrice della California, ha virato sul più rassicurante (per loro finanze spericolate) ticket Trump-Vance con in testa Elon Musk, che secondo uno scoop del Wall Street Journal (smentito dai due) verserebbe addirittura 45 milioni al mese a un super Pac vicino al tycoon; e Peter Thiel, il fondatore di Paypal sodale con J.D. Vance fin dai tempi della sua corsa al Senato, quando donò all’autore di Elegia americana 15 milioni per la sua campagna. E se Reid Hoffman, co-fondatore di LinkedIn, ha definito la vicepresidente «la persona giusta al momento giusto», seguito dal milionario tech Vinod Khosla, ancora non si è espresso il co-fondatore di Netflix, Reed Hastings, noto per essere un mega-donatore democratico.


Quanto c’è nelle casse e dove potrebbe andare

Alla fine di giugno, complice il disastroso dibattito elettorale che aveva portato molti finanziatori di Joe Biden a congelare fondi per un candidato diventato all’improvviso troppo anziano e instabile, la campagna elettorale di Trump aveva superato per la prima volta quella di Biden di 45 milioni di euro “soldi alla mano”: complice, soprattutto, i 50 milioni raccolti subito dopo la condanna per 34 capi di accusa a New York. Non è dato sapere quanto l’attentato del 13 luglio abbia portato nelle casse Maga (si parla di boom di donazioni ma lo staff della campagna non ha voluto rilasciare numeri), tuttavia stando ai dati di Open Secret, l’ex presidente degli Stati Uniti sarebbe a quota 450 milioni di dollari. Di questi ne avrebbe spesi circa 223, lasciando dunque nelle casse della campagna circa 270 milioni di dollari. Se confermata come candidata, Harris erediterebbe facilmente i fondi del comitato della campagna di Biden-Harris, che a fine giugno ammontavano a 95 milioni di dollari. Meno sicuri ma comunque possibili sono i 240 milioni raccolti tra Pac, gruppi, il comitato del partito democratico e della campagna personale di Biden.

Nella foto: Kamala Harris in un’elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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