Kamala Harris può vincere? «Ora Donald Trump ha paura, tutto per lui sarà più difficile»

I sondaggi. Lo svantaggio. La paura di Trump: «Ha più timore di lei che di Biden». Il programma e il caso Netanyahu

Il voto virtuale di 300 delegati del suo partito in California fornisce a Kamala Harris un numero sufficiente di delegati per la nomination alla Casa Bianca. Ora la vicepresidente degli Stati Uniti ha ben più dei 1976 delegati che le servono per vincere al primo scrutinio. La sfida a Donald Trump è quindi lanciata. Il 7 agosto arriverà l’ufficializzazione. E intanto lei ha parlato per la prima volta dal suo quartier generale attaccando l’avversario, definito truffatore e predatore sessuale. Ma ha anche deciso che non sarà al Senato per il discorso di Benjamin Netanyahu: vedrà il premier di Israele in un incontro privato. Ma Kamala Harris può vincere contro Trump? I sondaggi per ora la danno in svantaggio. Ma secondo esperti e politologi la candidata potrà sfruttare alcuni vantaggi.


Per Trump sarà più difficile vincere

Intanto un risultato l’ha già ottenuto. Per Donald Trump sarà più difficile vincere, come spiega John Nichols di The Nation al Fatto Quotidiano: «Penso che sia più spaventato da Harris rispetto a Biden. Di certo lei sarà più giovane e dinamica rispetto a lui. Potrebbe aspirare a eguagliare la performance di Obama nel 2008 e nel 2012». Secondo Nichols nei sondaggi «i numeri del presidente si erano abbassati di molto, e contemporaneamente quelli di Harris erano migliorati. Soprattutto, la vicepresidente sembra fare meglio di Biden negli Stati chiave, dove si decideranno davvero la partita della presidenza». Mentre sulla candidatura non ci saranno problemi: «La Convention sarà dominata da forti movimenti interni che tenderanno a far convergere il voto su di lei per evitare disordini».


«Al diavolo i sondaggi!»

«Al diavolo quello che dicono i sondaggi. Possiamo buttarli nel cestino, sono stati tutti fatti una settimana fa», assicura invece a Repubblica Larry Sabato, politologo a capo del Center for Politics dell’Università della Virginia. «Ovvio che danno ancora il repubblicano come favorito. Ma personalmente penso sia spacciato. I democratici possono farcela. E comunque non bisogna mai guardare all’effetto immediato di un evento – la sparatoria in questo caso – ma quello a lungo termine. C’è poco tempo ma da ora la campagna prenderà un altro passo, sarà molto veloce», aggiunge. Secondo Sabato Trump «rantola, dice cose senza senso e senza alcun fondo di verità». E il suo discorso di accettazione della candidatura «si è trasformato in un monologo senza capo né coda». Trump «non è pronto ad affrontare una donna di sangue misto».

Biden e Harris

L’indiscrezione che invece voleva Biden esitante a lasciare la candidatura perché non convinto di quella di Harris secondo Sabato è falsa. «Per Biden è stato semplicemente duro digerire che il suo tempo è passato. La presidenza era l’aspirazione della sua intera carriera politica. Nel 2020 ha vinto elezioni difficilissime e ora era appena stato nominato candidato con percentuali altissime. Alla fine, ha mollato perché glielo hanno detto persone di cui si fidava, amici che sapeva essere dalla sua parte, che non stavano certo complottando contro di lui. Le sue condizioni si stanno deteriorando sempre più rapidamente, è sotto gli occhi di tutti. Era ormai impossibile “venderlo” come presidente dei prossimi 4 anni, quando tutti si erano convinto che non avrebbe tenuto botta nemmeno per i prossimi 4 mesi».

«Vinceremo»

«So che la campagna ha fatto l’effetto delle montagna russe ma abbiamo ancora 106 giorni e vinceremo, voglio meritarmi la nomination e battere Donald Trump, quando combattiamo vinciamo», ha esordito Harris a Wilmington nel quartier generale della campagna Biden che ora porta il suo nome. Dopo essere stata accolta con una standing ovation dallo staff e dai vertici della campagna, Jen O’Malley Dillon e Julie Chavez, ha subito riconfermato in una linea di piena continuità. Presente anche il marito, che ha baciato. «In questa elezione, ognuno di noi affronta una domanda: in quale tipo di Paese vogliamo vivere? In un paese di libertà, passione e rispetto della legge, o in un paese di caos, paura e odio?», ha detto Harris. Che poi ha promesso di mettere al centro della sua campagna i diritti riproduttivi, a partire dall’aborto, e la stretta sulle armi, con controlli universali sugli acquirenti, leggi red flag (contro le persone ritenute pericolose) e il bando delle armi d’assalto.

Il caso Netanyahu

Intanto balla il caso Netanyahu. Harris non sarà in Senato per il discorso del premier di Israele, con cui però avrà un incontro privato. Una decisione già presa prima del ritiro Biden. «Aveva un precedente impegno a Indianapolis», ha cercato di minimizzare un assistente della Harris, che sembra però voler prendere una posizione più intransigente verso Israele e la sua gestione della guerra a Gaza, anche sullo sfondo delle proteste della base Dem.

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