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Prete condannato per pedofilia, per i giudici il vescovo «sapeva degli abusi». Anche Papa Francesco lo aveva difeso

26 Luglio 2024 - 16:09 Ugo Milano
Don Giuseppe Rugolo è stato condannato a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale sui minori. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici scrivono che il vescovo di Piazza Armerina era consapevole delle denunce, ma non avrebbe fatto nulla. Poco prima della sentenza era stato anche difeso da Bergoglio

Il vescovo della diocesi Piazza Armenina in provincia di Enna, Rosario Gisana, era consapevole delle «segnalazioni di abusi» sui minori perpetrati dal sacerdote Giuseppe Rugolo. È quanto scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza. Il sacerdote in primo grado è stato condannato lo scorso 5 marzo a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale sui minori. Secondo i giudici, «la Curia, nella persona del vescovo (Rosario Gisana, ndr), ometteva con ogni evidenza qualsivoglia, seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell’ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione».

Le violenze e le omissioni

Il sacerdote è stato condannato per violenza sessuale sui minori di 16 anni e tentata violenza sessuale, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall’insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado. Gli abusi sono stati commessi tra il 2009 e il 2011 ai danni di Antonio Messina, 16 anni, che – raggiunta la maggiore età – ha deciso di denunciare, e nei confronti di altri due minori tra il 2015 e il 2019. E, stando alle motivazione dei giudici di primo grado, il vescovo della diocesi siciliana non avrebbe colpevolmente preso le opportune precauzioni per evitare le violenze.

«La condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo», si legge ancora nelle motivazioni riportate da Il Domani e che sottolineano, inoltre, come lo stesso vescovo aveva «evidentemente autorizzato padre Rugolo come figura di riferimento dell’associazione 360 da lui fondata a operare all’interno della chiesa madre, consentendogli in tal modo con la piena compiacenza della diocesi di creare occasioni di incontro e frequentazioni con i giovani adolescenti». Per i giudici, infatti, don Rugolo agiva «consapevole di poter contare sull’appoggio dei vertici religiosi che contribuivano a rafforzare all’esterno la sua immagine, di esponente di spicco del clero locale».

«Ho insabbiato questa storia»

Da un’intercettazioni effettuata in fase di indagini – pubblicata dal Fatto Quotidiano – il vescovo ammetteva il suo coinvolgimento. «Ma è vero che ha ricevuto una telefonata dal Papa? Perché dicono questo i giornali!», chiede Rugolo a inizio 2021. «No, no! Io ho ricevuto una lettera della congregazione per il Clero. Dove mi chiedono gli accertamenti di quello che abbiamo fatto…», replica Gisana. Il sacerdote scoppia a piangere, e monsignor Gisana lo rincuora: «E u’ sacciu gioia mia… (lo so gioia mia, ndr.) Eh, però in questo momento non so neanche io che cosa si deve fare. Ehm…, l’unica cosa è pregare il Signore, che freni questo impeto demoniaco e speriamo che il Signore ci aiuti e basta. Perché qua, ora il problema non è solo tuo, il problema è anche mio, perché io ho insabbiato questa storia, per cui stanno cercando in tutti i modi di accusarmi…». Per i giudici Gisana «non aveva dato credito alle denunce sugli abusi segnalati, nonostante egli fosse consapevole che si trattasse di un minore, etichettandole come questioni tra omosessuali e, cosa ancora più grave, giustificando padre Rugolo per la sua condotta con un momento di debolezza da lui vissuto all’epoca in cui si erano verificati i fatti».

Le parole di elogio di Papa Francesco

Prima della sentenza di primo grado, il vescovo Gisana era stato difeso da Papa Francesco: «Bravo, questo vescovo, bravo», disse il pontefice all’epoca, «è stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo. È un bravo vescovo».

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