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Le mammografie non sono una bufala medica e non causano il cancro

28 Luglio 2024 - 17:39 Juanne Pili
Nessuno studio dimostra che le mammografie siano inutili o addirittura cancerogene, sono invece uno strumento importante

Secondo diverse condivisioni Facebook (per esempio qui, qui e qui) le mammografie sarebbero una vera e propria bufala medica. Non solo sarebbero controproducenti nel prevenire i tumori e curarli, ma ne sarebbero addirittura la causa. Il rischio è che contenuti di questo tipo allontanino alcune sprovvedute da una delle armi più potenti a loro disposizione nel combattere tempestivamente il tumore al seno. Non basta infatti pescare gli studi che confermano i nostri preconcetti – tanto meno strumentalizzare singole affermazioni espresse da alcuni medici -, per rovesciare quanto è emerso nei più ampi studi pubblicati fino a oggi.

Per chi ha fretta:

  • Circolano le condivisioni di un post che vorrebbe dimostrare la pericolosità delle mammografie.
  • Al netto di singoli studi e opinioni di alcuni ricercatori i più ampi studi hanno accertato efficacia e sicurezza degli screening mammografici.
  • Nemmeno lo studio citato nel post in oggetto non pretende di dimostrare la narrazione messa in circolazione, che strumentalizza in buona parte le opinioni di uno degli autori.

Analisi

Nelle condivisioni è possibile trovare anche citazioni di altri “ricercatori indipendenti” in merito alle mammografie, che ben rappresentano il contenuto linkato:

«MAMMOGRAFIE CAUSANO IL TUMORE ANZICHÉ PREVENIRLO
Una delle parti più delicate e vulnerabili della donna è esattamente la regione mammaria. Meno si interviene con mammografie, ecografie, prelevamenti, biopsie, visite e test di qualsiasi genere e meglio è. Meno si presta attenzione alle continue ed inique pressioni esercitate dagli enti sanitari statali e regionali per fare dei controlli e meglio è. Quando ti arrivano delle lettere circolari di convocazione e di invito a farsi controllare e testare in via gratuita, la cosa migliore da farsi è semplicemente cestinare tali strumenti di terrore, mirati non certo a prevenire, salvare, rasserenare le persone, ma soltanto a creare angoscia e ad aumentare la popolazione spaventata e renderla disponibile verso interventi che sono sempre di rimozione e mai di modifica radicale degli stili di vita».

Cosa ha detto Welch sulle mammografie e sulle terapie contro il tumore al senso

Vediamo ora qual è la fonte principale all’origine della narrazione in oggetto sulle mammografie e cosa riporta in merito alle terapie a disposizione. Tutto parte da uno studio di oltre dieci anni fa, di cui il dottor Gilbert Welch è co-firmatario assieme ad Archie Bleyer. Il medico aveva manifestato pubblicamente il suo scetticismo sulle mammografie, per esempio in un suo articolo d’opinione per il New York Times del 2012. Il post linkato nelle condivisioni in oggetto risale invece al 2018 (a sua volta copia-incolla un articolo di Mike Adams per Natural News del 2012). Il testo rielabora e cita alcune parti dell’articolo di Welch:

«Abbiamo riscontrato che l’introduzione dello screening ha portato 1,5 milioni di donne alla diagnosi di cancro alla mammella in fase iniziale [spiega Welch, Nda]. Potreste pensare “Beh, la diagnosi precoce salva delle vite, proprio come ci hanno detto Komen e le associazioni no-profit riguardo il cancro”. Ma sbagliereste. […] “Abbiamo scoperto che ci sono state solo 0,1 milioni di donne in meno con una diagnosi di cancro alla mammella in fase terminale. La discrepanza significa che c’è stata molta diagnosi inutile ed esagerata: a più di un milione di donne è stato detto di avere un cancro in fase iniziale –molte delle quali hanno subito chirurgia, chemioterapia o radiazioni per un cancro che non le avrebbe mai fatte stare male. Anche se è impossibile sapere chi siano queste donne, il danno è evidente e serio”».

Riportiamo adesso la parte originale del testo di Welch da cui è tratta la rielaborazione di Adams, il quale ricostruisce abbastanza bene il punto di vista del medico, anche se lo fa parzialmente:

«Lo studio esamina il quadro generale – spiega Welch -, l’effetto di tre decenni di screening mammografico negli Stati Uniti. Dopo aver corretto le tendenze sottostanti e l’uso della terapia ormonale sostitutiva, abbiamo scoperto che l’introduzione dello screening è stata associata a circa 1,5 milioni di donne in più che hanno ricevuto una diagnosi di cancro al seno in stadio iniziale. Sarebbe una buona cosa se ciò significasse che 1,5 milioni di donne in meno avrebbero ricevuto una diagnosi di cancro al seno in stadio avanzato. Allora potremmo dire che lo screening ha anticipato i tempi della diagnosi e ha offerto l’opportunità di ridurre la mortalità per 1,5 milioni di donne. Invece, abbiamo scoperto che c’erano solo circa 0,1 milioni di donne in meno con una diagnosi di cancro al seno in stadio avanzato. Questa discrepanza significa che c’erano molte sovradiagnosi: a più di un milione di donne a cui era stato detto che avevano un cancro in stadio iniziale – la maggior parte delle quali era stata sottoposta a intervento chirurgico, chemioterapia o radioterapia – per un “cancro” che non le avrebbe mai fatte ammalare. Anche se è impossibile sapere di quali donne si tratti, si tratta di un danno piuttosto serio».

Il problema è che poi Adams prosegue sostenendo che «Chemioterapia, radiazioni e chirurgia oncologica sono in gran parte bufale». Ma questo Welch non lo dice:

«Vi sentite depressi? Non dovreste esserlo – continua Welch -. Anche qui ci sono buone notizie: la mortalità per cancro al seno è diminuita sostanzialmente negli Stati Uniti e in Europa. Ma non si tratta di screening. Riguarda il trattamento. Le nostre terapie per il cancro al seno sono semplicemente migliori rispetto a 30 anni fa. Man mano che il trattamento migliora, il beneficio dello screening diminuisce. Pensateci: poiché possiamo curare la maggior parte dei pazienti che sviluppano la polmonite, c’è poco vantaggio nel cercare di individuare precocemente la polmonite. Ecco perché non effettuiamo screening per la polmonite. Quindi ecco cosa sappiamo ora: il beneficio della mammografia sulla mortalità è molto inferiore e il danno di una sovradiagnosi molto più grande di quanto precedentemente riconosciuto».

Anche più recentemente il dottor Welch ha manifestato scetticismo riguardo alla rilevanza degli screening precoci, ma il suo ragionamento è sempre basato sulla notevole efficacia delle terapie. Il problema è che il medico non sembra presentare argomenti convincenti che escludano il fattore del tempismo nella diagnosi per l’efficacia delle terapie, né sembra suggerire alternative più convincenti.

È come suggerire che siccome l’uso dei freni non sembra influire sulla sopravvivenza delle vittime di incidente stradale, questi siano controproducenti nel salvare vite. I morti per incidente stradale infatti sono calati perché siamo più bravi nel curare le vittime negli ospedali. Quindi smettiamola di usare i freni fino a quando non saranno prodotti nuovi e più ampi incidenti stradali.

Cosa dice lo studio co-firmato da Welch

Welch non sembra nemmeno prestare attenzione al fatto che non esistono solo le mammografie. Ma prima di chiarire meglio questo aspetto riportiamo le conclusioni dello studio in oggetto, che ricordiamo essere di oltre 10 anni fa:

«Nonostante l’aumento sostanziale del numero di casi rilevati di cancro al seno in stadio iniziale – riportano Welch e Bleyer -, lo screening mammografico ha ridotto solo marginalmente il tasso con cui le donne si presentano con un cancro avanzato. Anche se non è certo quali donne siano state colpite, lo squilibrio suggerisce che vi sia una sostanziale sovradiagnosi, che rappresenta quasi un terzo di tutti i tumori al seno di nuova diagnosi, e che lo screening sta avendo, nella migliore delle ipotesi, solo un piccolo effetto sul tasso di morte del cancro al seno».

Vediamo ora cosa riportano i ricercatori in merito alla chemioterapia:

«Le donne dovrebbero riconoscere che il nostro studio non risponde alla domanda “Devo essere sottoposta a screening per il cancro al seno?” Tuttavia – continuano gli autori -, possono stare certe che la domanda ha più di una risposta giusta».

Siccome Welch non può sostituirsi alla comunità scientifica dobbiamo chiederci cosa dicono oggi i più recenti e ampi studi in merito. Avevamo già trattato il tema in analisi precedenti (per esempio qui e qui). Quando su un determinato test diagnostico, farmaco o terapia vengono prodotti tanti studi da poterli analizzare assieme in revisioni sistematiche, oppure farci calcoli statistici in apposite meta-analisi, dai risultati ottenuti gli enti sanitari possono avere un quadro generale e pubblicare delle linee guida. Inoltre, come accennavamo a inizio paragrafo, si deve tener conto del contesto generale, in cui entrano in gioco diversi test diagnostici, in modo da contenere il fenomeno delle sovra-diagnosi. Lo abbiamo visto anche durante la pandemia di Covid-19, quando a seguito di un test molecolare positivo si doveva eseguire un test PCR per verificare l’effettiva presenza del virus.

Cosa sappiamo sulle mammografie, e non solo, oltre 10 anni dopo

Ecco per esempio cosa riporta l’AIRC in merito a efficacia e sicurezza delle mammografie:

«La mammografia è un esame fondamentale per la diagnosi precoce del tumore della mammella – riporta l’AIRC – poiché permette di identificare lesioni di piccole dimensioni ed è quindi un’arma importante per intervenire nelle fasi iniziali della malattia. […] La mammografia è un esame che non ha particolari controindicazioni. Nelle donne sotto i 40-45 anni di età, a causa della densità della ghiandola mammaria, questa indagine può risultare poco leggibile; pertanto nelle donne più giovani viene consigliata l’ecografia. Al contrario, non c’è un limite di età per la mammografia; il controllo mammografico è consigliato anche oltre i 70 anni se lo stato di salute della donna lo permette. […] L’intervallo di età e la periodicità con cui viene effettuato lo screening mammografico in donne senza segni o sintomi sono stabiliti in modo che i benefici associati alla possibile diagnosi precoce a livello di popolazione siano superiori ai possibili rischi legati alle radiazioni, o agli effetti indesiderati del trattamento di tumori poco aggressivi che non avrebbero influito sulla qualità o l’aspettativa di vita (sovra-diagnosi)».

Leggiamo cosa riporta lo IARC in merito ai falsi positivi delle mammografie:

«Tutte le mammografie anomale dovrebbero essere seguite da ulteriori test (mammografia diagnostica, ecografia e/o biopsiavolti a rilevare l’eventuale presenza di un tumore. […] Gli esami aggiuntivi necessari per escludere la presenza di un cancro possono anche richiedere tempo e causare disagio fisico. Gli standard europei di qualità mirano a ridurre al minimo i tempi di attesa e l’ansia ad essi associata. Nel corso di un periodo di 20 anni, circa 1 su 5 donne che partecipano regolarmente ai programmi di screening è destinata a incorrere in un risultato falso positivo che potrà essere chiarito senza ricorrere a procedure invasive. […] Un’altra possibilità è quella che lo screening rilevi la presenza di un tumore mammario che né il paziente né il medico avrebbero mai scoperto senza tale esame, fenomeno noto come sovradiagnosi. Purtroppo non è possibile distinguere quali tumori rilevati tramite screening siano casi di sovradiagnosi. In media, 5-10 su 100 tumori individuati mediante screening sono casi di sovradiagnosi. Il rischio è minore per le giovani donne e maggiore per quelle anziane».

Ecco cosa riporta la dottoressa Arianna Olga Rubino nel suo articolo per l’istituto clinico Humanitas in merito alle differenze tra ecografia e mammografia:

«L’ecografia mammaria è un esame eseguito attraverso l’utilizzo degli ultrasuoni mentre la mammografia è un esame radiografico. Il primo viene utilizzato soprattutto per valutare la mammella nella sua struttura adiposa e fibrosa. È molto utilizzato nelle donne giovani perché consente di individuare strutture come la mastopatia fibrocistica o i fibroadenomi, che sono noduli benigni di consistenza fibrosa. La mammografia è invece mirata all’individuazione di micro-calcificazioni o noduli di piccole dimensioni soprattutto in donne che hanno una mammella in involuzione, quindi con più di 40 anni».

Conclusioni

Abbiamo visto che non esistono studi seri che considerano le mammografie inutili o controproducenti addirittura fino a essere considerate la potenziale causa dei tumori che dovrebbero prevenire. Le stesse affermazioni di scettici come il dottor Welch andrebbero contestualizzate, e non usate come surrogato delle più recenti linee guida sull’argomento.

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