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Lo sfogo dell’azzurro Nicola Bartolini sulla cerimonia delle Olimpiadi: «Non mi è piaciuta: potevamo ammalarci»

28 Luglio 2024 - 11:06 Redazione
Nicola Bartolini
Nicola Bartolini
L'attacco dell'atleta sardo, tra i protagonisti della squadra di ginnastica artistica maschile: «Così potevano vanificare l'impegno di tre anni di lavoro»

È carico e anche un po’ arrabbiato con l’organizzazione delle Olimpiadi Nicola Bartolini, tra i protagonisti della squadra di ginnastica artistica maschile. Gli azzurri hanno conquistato una storica finale nella competizione a squadre, che domani 29 luglio tornerà in pedana per puntare al podio. L’atleta azzurro ha commentato ai canali federali la prestazione che ha portato gli italiani in finale: «È assurdo. Arrivo da stagioni dove non ci qualificavamo nemmeno per andarci ai Giochi». Un pensiero va al tecnico Beppe Cocciaro: «Ci ha preso come cani randagi, ci ha fatto da educatore cinofilo portandoci su una strada lastricata di cerchi».

La storica finale a Parigi 2024

Bartolini ricorda il cammino complicato che ha portato gli azzurri a Parigi: «Cocciaro ha dimostrato la bontà delle sue scelte, per anni siamo stati criticati, mentre la femminile italiana raccoglieva successi, meritatissimi, e noi sembravamo così lontani da realtà straniere, inarrivabili. Bene, oggi siamo entrati in una finale olimpica e abbiamo due ginnasti tra i migliori sedici dei Giochi di Parigi. Dei risultati splendidi che stiamo portando a casa ultimamente, dai successi Europei ai piazzamenti iridati, questa è la ciliegina sulla torta».

Le critiche sulla cerimonia di apertura

L’atleta sardo poi ha riservato alcuni attacchi all’organizzazione delle Olimpiadi, in particolare sulla cerimonia d’apertura: «È stata umida. A me non è piaciuta. Mi hanno detto che anche da fuori non è stata un granché. Io ho sempre visto la sfilata nello stadio, nelle passate edizioni, con occhi innamorati. Ho immaginato una vita di sfilate, camminando. Invece, ieri, la magia si è rotta, anzi c’è stato il grande rischio che qualcuno si potesse ammalare, vanificando l’impegno di tre anni di lavoro».

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