Quella volta che Matteo Renzi litigò con Barack Obama: «E Joe Biden riportò la pace»
Matteo Renzi è riuscito a litigare persino con Barack Obama. E nell’occasione, siccome non rispondeva più al telefono al presidente degli Stati Uniti, ha conosciuto meglio il suo vice di allora. Ovvero Joe Biden. E ha imparato ad apprezzarne le doti umane. Il leader di Italia Viva racconta oggi la vicenda in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. «Nell’amministrazione rappresentava ai nostri occhi lo zio saggio. Un colloquio privato con lui mi segnà». La lite con Obama risale al settembre 2014: «L’Italia non venne coinvolta nella stesura di un comunicato degli Stati Uniti e dei Paesi europei del G7. E io per tutta risposta bloccai una conferenza stampa della Casa Bianca che era stata già annunciata».
La lite
Renzi ricorda che «bisognava esprimere la posizione comune in ambito Nato su una questione che riguardava le relazioni tra Russia e Ucraina. Solo che l’Italia non fu coinvolta nella stesura del documento. Avvisai allora privatamente che non avrei firmato. Poi per sei ore non mi feci trovare. Da Washington chiamavano con insistenza e quando decisi di rispondere ebbi una litigata epocale con Obama. Lui era furioso: “Il mio staff è qui in attesa. Ci sono i giornalisti che si domandano il motivo del ritardo. Stiamo aspettando solo te”, mi urlò. Gli replicai a tono: “Politicamente sarò pure un obamiano ma pretendo per il mio Paese lo stesso trattamento riservato a Gran Bretagna, Francia e Germania”».
L’ex premier ricorda che all’epoca il governo italiano finiva escluso dalle call di stesura dei documenti: «Mi ero stufato. Dissi a Obama: “Firmo questo comunicato se mi dai la certezza che d’ora in poi non succederà più”. Non accadde più, ma la discussione era stata molto accesa. E qualche giorno dopo…».
La chiamata di Biden
È arrivata la chiamata di Biden, a cui erano affidate le chiamate di ricucitura. «Erano sempre lunghe. Partivano sempre con una citazione di Wilmington, città del Delaware dove viveva e veniva eletto. E ogni volta lui mi raccontava di un pizzaiolo italiano che abitava lì: “Devi sapere che io ho sempre preso i voti della comunità italiana in Delaware”. “Saranno cinque gli italiani in Delaware”, gli rispondevo. Poi mi mostrava il suo lato prudente e saggio: “Tu sei molto giovane. Pensa al futuro. Hai trent’anni meno di me…”. Mi raccontava aneddoti di storia politica e alla fine metteva tutto a posto. Lezioni bellissime», ricorda Renzi.
L’incontro in Italia
Poi nel 2015 Biden venne in Italia per un viaggio privato in un borgo toscano: «Non voleva fare incontri a Roma. Aveva chiesto di parlare solo con me, ma non a palazzo Chigi per evitare il protocollo. Non capivo. Quando arrivò mi chiese: “Puoi venire tu a villa Taverna?”».
Lì, ricorda il leader di Iv, «quando fui davanti a lui vidi un uomo provato: “Sta per arrivare il giorno del Ringraziamento e non voglio trascorrerlo nella casa dove l’abbiamo sempre festeggiato insieme a Beau”. Beau Biden, il figlio prediletto, l’eroe di guerra, il suo erede politico, si era spento per un tumore al cervello. Joe aveva già perso la prima moglie e la figlia nel 1972 in un incidente stradale. Puoi essere uno degli uomini più potenti del mondo ma prima di tutto resti un padre. E Biden era un padre distrutto dal dolore. La conversazione durò 45 minuti. Parlò praticamente solo lui e parlò del figlio, di Dio, della fede, della vita eterna».
La candidatura
Infine: «Mi limitai ad ascoltarlo mentre dava del tu al dolore. Tratteneva a fatica le lacrime. Uscii dalla conversazione scosso. E non mi stupii quando nel 2016 non fu candidato per la presidenza degli Stati Uniti: immaginai ci fosse un elemento personale in quella scelta».