Emergenza sanitaria in Italia, mancano 20mila medici: «Paghiamo meglio gli specializzandi, ma teniamo il numero chiuso»

Cristina Tassorelli, preside di Medicina a Pavia, spiega quali sono le problematiche che affliggono i reparti sanitari

Il sistema sanitario italiano sta affrontando una crisi di personale senza precedenti, con stime che indicano la necessità di 3mila medici di famiglia e 20mila medici ospedalieri per colmare le attuali carenze di organico. Senza contare che, entro il 2025, altri 40mila medici andranno in pensione, aggravando ulteriormente la situazione. Cristina Tassorelli, neurologa e preside della facoltà di Medicina dell’Università di Pavia, attribuisce parte del problema agli errori passati nel calcolo del fabbisogno di medici, che hanno portato a un numero insufficiente di studenti ammessi alle università e alle scuole di specializzazione. «Non so con quale logica sia stato calcolato in passato il fabbisogno di medici in Italia, ma il numero oggi risulta inadeguato e molti concorsi ospedalieri vanno deserti», spiega Tassorelli a la Repubblica.


Dimissioni, pensionamenti e migrazioni

Nonostante il numero di medici in Italia sia nella media europea, Tassorelli mette in evidenza come l’età media dei professionisti sia significativamente più alta rispetto agli altri paesi. Le crescenti dimissioni degli ultimi anni, dovute a pensionamenti e a migrazioni verso il settore privato o l’estero, hanno esacerbato le difficoltà del sistema sanitario nazionale. Negli ultimi anni, il numero di posti disponibili per gli studi in Medicina è aumentato, «con un incremento del 70% nei contratti per gli specialisti rispetto al 2017/2018». Tuttavia, a colloquio con Elena Dusi, Tassorelli sottolinea che «formare un medico richiede tempo: sei anni per la laurea e da tre a cinque anni per la specializzazione. Servirà ancora tempo per vedere gli effetti di questi aumenti».


Il numero chiuso e le (scarse) retribuzioni

L’abolizione del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina potrebbe sembrare una soluzione logica, ma Tassorelli avverte che «formare un medico richiede dedizione e attenzione sia da parte degli studenti che dei professori. Non è possibile passare a un insegnamento di massa a Medicina». Suggerisce, invece, di indagare perché i medici italiani non vogliono lavorare nel sistema sanitario nazionale. Le retribuzioni significativamente più basse rispetto ad altri paesi europei sono un fattore determinante. «Da noi, uno specializzando guadagna 25mila euro lordi all’anno, pur essendo un medico laureato e abilitato, con turni e guardie che spesso permettono al reparto di andare avanti», spiega la preside di Medicina di Pavia.

«Serve una valutazione psicologica dei medici»

La pandemia da Covid-19 ha evidenziato ulteriormente queste problematiche. «Durante l’emergenza, i medici reclutati per le vaccinazioni erano ben pagati, ma successivamente molte regioni hanno optato per soluzioni a gettone per sopperire alle carenze di organico, creando disparità rispetto ai medici strutturati negli ospedali e allontanando i giovani medici dal sistema sanitario pubblico», chiosa Tassorelli. Quanto alla riforma del test di accesso alla facoltà di Medicina, la vede come un passo positivo, ma ci tiene a mettere in evidenza che il metodo precedente selezionava comunque studenti preparati. C’è un passaggio, però, che a suo avviso manca: «Potrebbe essere utile includere una valutazione psicologica. I medici devono farsi carico della fragilità delle persone e accompagnarle in un percorso a volte molto difficile. È un aspetto importante del mestiere e il Covid lo ha messo in risalto ancora di più».

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