Imane Khelif, le transgender e le persone intersex: perché il Cio ha dato l’ok al match con Carini alle Olimpiadi
La pugile Imane Khelif, che oggi affronterà Angela Carini alle Olimpiadi di Parigi 2024, è una transgender o una persona intersex? Gli ottavi di finale dei pesi welter femminili di boxe sono previsti alle ore 12.20. Khelif soffre di iperandrogenismo femminile. Ovvero nel suo corpo si determina una eccessiva produzione di ormoni maschili, tra cui il testosterone. Eppure «è una donna, ma soffre della sindrome dell’ovaio policistico», spiega la bioeticista Silvia Camporesi. Mentre l’endocrinologa Giovanna Motta dice che «siamo di fronte a una persona intersex. Se fosse una persona transgender alla nascita avrebbe avuto assegnato il genere maschile. Poi avrebbe fatto un percorso di affermazione femminile. Ma non è questo il caso». E il genetista Emiliano Giardina spiega che serve una regola precisa per lo sport.
L’iperandrogenismo
Imane Khelif, di cittadinanza algerina, è diventata ieri un caso politico dopo l’intervento del ministro dello Sport Andrea Abodi. Il quale ha espresso preoccupazione per l’incontro con l’atleta italiana. L’esponente del governo Meloni ha sostenuto che non si capisce per quale motivo non ci sia «un allineamento dei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi». Ma Imane Khelif non è mai stata un uomo. I documenti sportivi e i passaporti depositati al Cio, spiega oggi Repubblica, certificano che è una donna. Lei e la taiwanese Lin Yu-Ting gareggiano regolarmente ai Giochi anche se entrambe sono state escluse dai Mondiali di boxe per un tasso di testosterone troppo elevato. Come Caster Semenya, Khelif non è transgender. È una persona con differenze nello sviluppo sessuale.
Il Cio
Il Comitato Olimpico, che vieta l’ispezione degli organi sessuali ma non istiga all’uso di sostanze farmacologiche che abbassano i livelli di testosterone, ha deciso. La soglia è 10 nmol/L nei 12 mesi precedenti al torneo e per tutta la durata delle competizioni. Il portavoce del Cio Mark Adams ha spiegato che Khelif non dispone di nessun vantaggio per la sua situazione ormonale. E infatti ha perso finora un match su quattro di quelli disputati. Esattamente come Carini. Khelif è stata esclusa dal Mondiale perché gli esami non soddisfacevano i criteri di ammissibilità richiesti per partecipare a una competizione femminile. L’Iba, organizzatrice del Mondiale, è stata successivamente bandita dal Cio.
Il genetista
Il genetista forense e professore all’università di Tor Vergata Emiliano Giardina spiega a Repubblica: «La condizione dell’atleta non è chiara: ci sarebbe un cariotipo maschile — quindi la presenza di un cromosoma Y che definisce il sesso cromosomico maschile — a fronte di caratteristiche genitali femminili. La questione è molto delicata. Ci sono vari livelli di definizione del genere, non solo cromosomico. E non sono infrequenti in natura situazioni con discrepanze. Esistono variazioni sulla costituzione genetica, ma non devono comportare l’esclusione da una delle categorie». Il livello alto di testosterone «è compatibile con queste discrepanze. Un dosaggio ormonale non decide se si è maschi o femmine». Secondo Giardina «il Comitato olimpico deve definire come si accede a una delle due categorie. Se scegliesse il criterio del cariotipo sarebbe semplice: se hai cromosoma XY sei maschio. Ma potrebbe adottarne altri».
«È una donna»
La bioeticista Silvia Camporesi spiega al Corriere della Sera che l’atleta della boxe femminile «è una donna. Da quello che leggo, è una persona con “variazioni delle caratteristiche del sesso”, Vcs/Dsd, che possono comportare anche iperandrogenismo, cioè una produzione di ormoni superiori a una ipotetica media femminile. Capita per diversi fattori». Per esempio «la sindrome dell’ovaio policistico. Colpisce fra l’8 e il 13 per cento delle donne. Sarebbero da escludere anche loro? Si stima che le persone con Vcs/Dsd invece siano fra lo 0,018 e l’1,7 per cento». Si tratta quindi di «condizioni naturali e produzione endogena, non doping». Dietro le polemiche, secondo la prof, «c’è un po’ di sessismo. I vantaggi genetici endogeni vanno bene solo per la categoria maschile, a quanto pare. Le donne sottoposte a questi test genetici vengono tutte dal Sud del mondo. Speriamo sia solo un caso».
«Non c’è differenza»
L’endocrinologa Silvia Motta, che lavora all’ospedale Le Molinette di Torino, dice a La Stampa che «siamo di fronte a una persona intersex: una donna con livelli alti di ormoni maschili. Al fine della competizione sportiva non c’è una grossa differenza: servono criteri omogenei che stabiliscano un limite al livello di testosterone». Il vantaggio dell’eccesso di ormoni è «innanzitutto il potenziamento della muscolatura. I livelli ammessi per una donna non devono essere superati, altrimenti la competizione non è più corretta. La polemica scatta nel momento in cui le regole cambiano all’improvviso da una competizione importante come i campionati mondiali, ai Giochi olimpici, che sono l’evento sportivo più simbolico». Secondo Motta una donna non corre dei rischi per la propria incolumità se viene presa a pugni da una intersessuale: «E poi non credo che la boxe sia uno sport così violento».
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