Il campione olimpico Daniele Garozzo contro Aldo Cazzullo: «Falso che bisogna essere cattivi per vincere, io ne sono la prova»

Lo schermidore azzurro critica lo scrittore per il suo messaggio «assurdo e diseducativo»

L’urlo del sopravvissuto, come Aldo Cazzullo descrive la festa degli schermidori per ogni assalto vincente, questa volta è proprio contro il giornalista e scrittore. Daniele Garozzo, oro olimpico a Rio de Janeiro nel fioretto individuale e argento a Tokyo 2020 nella stessa disciplina, tra i successi più importanti per il campione siciliano, tira la stoccata a Cazzullo per un pezzo intitolato: Scherma, il fioretto insegue l’oro alle Olimpiadi: azzurri fortissimi ma bravi ragazzi. Nel testo scrive: «Gli schermidori, come i signori secondo Manzoni, hanno un po’ tutti del matto. Quelli che abbiamo adesso sono un po’ troppo bravi ragazzi: per questo vincono meno di una volta. […] Domani la squadra di fioretto insegue il cinquantunesimo oro olimpico della nostra storia. La buona notizia è che sono fortissimi. La cattiva è che sono bravi ragazzi». Passaggi che non sono andati giù a un «bravo ragazzo» che in pedana ha vinto e ha vinto con carattere. Ma non con cattiveria, ed è questo che rivendica. «Mi piace pensare di essere un bravo ragazzo, come molti altri nella nostra disciplina. Trovo piuttosto curioso, per non dire assurdo, il messaggio sottinteso nel suo articolo: che essere “cattivi” sia una qualità essenziale per vincere. Questa idea è non solo falsa, ma anche diseducativa», scrive Garozzo, ora 31enne.


Daniele Garozzo contro Cazzullo: «Essere cattivi non porta alla vittoria»

«Affermare che “essere cattivi” porti alla vittoria sminuisce i successi di tanti atleti che, come me, hanno raggiunto i più alti traguardi grazie a impegno, sacrificio e una sana competitività. La narrativa romantica del guerriero spietato potrebbe essere affascinante nei racconti epici, ma nella realtà dello sport moderno è fuori luogo e anacronistica», si legge nel messaggio rivolto a Cazzullo, «essere bravi ragazzi non significa essere deboli o meno competitivi. Significa avere la maturità di comprendere che il vero valore dello sport sta nel rispetto delle regole, degli avversari e di se stessi. È attraverso questo rispetto che si costruisce una carriera duratura e un esempio positivo per le generazioni future». Poi si sofferma su un altro passaggio: «La trasformazione culturale e sociale che hai descritto non è una debolezza, ma una forza. Atleti istruiti, rispettosi e consapevoli sono ambasciatori migliori per il nostro sport e per i valori che esso rappresenta. La scherma non è solo una questione di medaglie, ma di carattere e integrità». E conclude: «Invito tutti a riflettere su ciò che veramente rende grande uno schermidore. Non è la cattiveria, ma la passione, l’impegno e la capacità di ispirare gli altri con il proprio esempio positivo».


Leggi anche: