L’Iran pronto a «punire Israele», anche l’uomo di Putin a Teheran. Giallo sui disturbi allo spazio aereo e al GPS nella regione

L’intelligence Usa considera imminente una rappresaglia, ma gli Ayatollah fanno sapere di non voler «generare instabilità». Il forcing diplomatico e gli scenari

Quando arriverà la rappresaglia iraniana contro Israele per l’omicidio di Ismail Haniyeh a Teheran? Da dove, con che mezzi e soprattutto di che intensità? Le risposte a questo set di cruciali domande indicheranno con buona dose di precisione anche se quella alle porte è una nuova guerra regionale a tutto tondo – magari da combattersi in primis in terra libanese – o invece la chiusura “scenografica” di un tetro botta e risposta tra i due nemici giurati del Medio Oriente. Fu quello lo schema di metà aprile, con la risposta “telefonata” di Teheran – pur sempre il primo attacco diretto a Israele con centinaia di droni e razzi, comunque – dopo il raid sul suo consolato di Damasco con cui lo Stato ebraico aveva eliminato un comandante delle Guardie rivoluzionarie. Questa volta la trama pare diversa: nessun avvertimento preventivo – pur indiretto e cifrato – a Israele e ai suoi alleati sui tempi e modi dell’attacco. Annunci roboanti, piuttosto, di una risposta armata «nei tempi e modi prescelti» – con un ampio margine di incertezza sul grado di coinvolgimento della milizia più forte ai confini di Israele, quell’Hezbollah che medita a sua volta vendetta pure per il raid israeliano su Beirut che martedì scorso ha ucciso il suo numero 2, Fuad Shukr.


La voce di Putin all’orecchio degli Ayatollah

Ieri fonti d’intelligence americane avevano fatto trapelare sui media di aspettarsi un attacco iraniano entro 48 ore, e probabilmente oggi, lunedì 5 agosto. Indiscrezioni rafforzate almeno per qualche ora dalla notizia, data dai media israeliani, di comunicazioni da parte delle autorità iraniane alle compagnie aeree di pericoli in vista per la circolazione ad alta quota in diverse parti del Paese e/o di disfunzioni alla rete satellitare Gps. Voci poi smentite da Teheran. Il regime degli Ayatollah “deve” comunque rispondere all’umiliante colpo infertogli da Israele nel cuore della capitale in una finestra di tempo breve, ma cerca in queste ore di sondare quanto in là può spingersi con i suoi alleati. A partire dalla Russia di Vladimir Putin. Oggi a Teheran è arrivato infatti Sergei Shoigu, l’ex ministro della Difesa che oggi ricopre il ruolo di segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale di Mosca. L’emissario di Putin ha avuto incontri ai massimi livelli. Con il neo-presidente Masoud Pezeshkian e col capo di stato maggiore dell’esercito Mohammad Bagheri Shoigu ha discusso di «vari aspetti della sicurezza globale e regionale», fa sapere la Tass. Locuzione volutamente vuota. L’obiettivo della visita è stringere le cinghie dell’alleanza, garantendo la copertura per una dura risposta contro Israele, o invece sconsigliare a Teheran di lanciarsi in avventure senza ritorno? Per Putin si tratta in fondo della prova del nove per capire cosa resta della lunga e interessata intesa col governo di Benjamin Netanyahu, uscita duramente provata dal biennio di guerra in Ucraina prima e – soprattutto – a Gaza poi. Nelle scorse ore alcuni media israeliani hanno paventato l’ipotesi della svolta bellicista anche in Medio Oriente, con il presunto invio all’Iran negli ultimi giorni di munizioni e missili ipersonici Iskander, gli stessi usati contro l’Ucraina.


Telefoni bollenti per la de-escalation

Di certo c’è che al pari della Russia si muovono in queste ore freneticamente anche tutti i principali Paesi che hanno interessi nell’area. Il presidente americano Joe Biden ha avuto oggi un colloquio telefonico con il re di Giordania Abdallah per concordare gli «sforzi per la de-escalation», quindi ha riunito il suo staff per la sicurezza nella Situation Room della Casa Bianca. Una testata kuwaitiana ha scritto addirittura che nei giorni scorsi a Teheran sarebbe sbarcata in gran segreto una delegazione americana. Sponda militare, invece, a Tel Aviv è arrivato il comandante del Comando centrale dell’esercito Usa Michael Kurilla per mettere a punto con i pari grado israeliani tutti gli scenari di risposta possibile al previsto attacco iraniano. Iperattivi per tentare di scongiurare il precipitare della situazione pure i leader europei. A partire dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha tenuto a far sapere di aver parlato nelle scorse con i leader dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman e degli Emirati Arabi Mohamed bin Zayed per rafforzare il messaggio che «un’escalation non è nell’interesse di nessuno». Mentre il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha sentito il suo omologo iracheno Fuad Hussein e quello della Difesa Guido Crosetto il collega israeliano Yoav Gallant. Tutti si preparano ai diversi scenari, nella speranza che la risposta iraniana non rechi a Israele danni tali da rendere necessaria un’ulteriore e devastante controrisposta, in un ciclo di violenza che diventerebbe a quel punto inarrestabile.

La «moderazione» secondo Teheran

A dare il senso alla comunità internazionale di quel che l’Iran vuole – e non vuole – è stato comunque oggi il ministro degli Esteri di Teheran Ali Bagheri. Gli Ayatollah rivendicano il diritto di rispondere «all’avventurismo del regime sionista» che ha osato colpire nel cuore della sua capitale il giorno dell’inaugurazione del nuovo presidente. Ma l’obiettivo della «punizione» che Teheran intende assestare a Israele è quello di «portare stabilità nella regione, e non di creare ulteriore instabilità». Così avrebbe detto Bagheri a un gruppo di ambasciatori stranieri ricevuti oggi, come volentieri fatto sapere dal governo. Rappresaglia sì, ma entro limiti – ancora una volta – accettabili, dunque. Sempre che qualcosa non vada storto, innescando un’escalation imprevedibile.

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