Lo sfogo di Carlo Verdone disperato per le condizioni di Roma: «Cantieri, gabbiani e sporcizia. Sto pensando di scappare via»

L’attore e regista da giorni denuncia il degrado nella Capitale, arrivato a livelli ormai insostenibili anche per un simbolo della romanità come lui

«Ci penso davvero, due o tre volte a settimana: famme scappà via. Non è un problema solo mio, conosco tanti amici che stanno valutando concretamente di andarsene da Roma». A pronunciare queste parole, inaspettatamente, è Carlo Verdone. L’attore simbolo e leggenda dello spirito Capitolino consegna infatti la sua frustrazione nei confronti della Città Eterna a Tommaso Rodano, sul Fatto Quotidiano. Spiegando che non si tratta di considerazioni dettate dal momento: «Il caldo rende ancora più invivibile una città così complicata. Ma il declino di questa città non è stagionale, è costante».


Cantieri e roghi

E come raccontato già nella Roma felliniana oltre 50 anni fa, dipende anche dal traffico, ora aggravato da roghi e cantieri: «Quando c’è stato l’incendio di Monte Mario ero lì vicino, stavo lavorando in piazzale Clodio – racconta Verdone -. Ho provato a tornare a casa, ma tutte le strade erano chiuse per far passare i pompieri e la polizia. Ero pure in scooter, in teoria doveva essere più semplice venirne fuori, invece sono finito incastrato in una specie di bolgia infernale: come mi muovevo trovavo una strada chiusa. Ero ostaggio, non riuscivo più a tornare a casa. Ho girato in via Ottaviano, pensavo di salvarmi, non l’avessi mai fatto: un cantiere, altra strada chiusa. Ho scoperto che a Roma ci si può ancora perdere alla mia età».


Le tempistiche

A proposito di cantieri. Il problema, a detta di Verdone, non sono loro, ma le tempistiche: «Ben vengano, probabilmente quando saranno finiti la città sarà più bella. Ma siamo nel 2024: le cose andavano fatte molto, molto prima». E ancora: «Il problema è che abbiamo tutti paura che i cantieri si possano allungare oltre misura. Allora no, diventerebbe l’ennesimo guaio. Siamo abituati a un sistema burocratico spaventoso: si rompe un arco, una galleria, arrivano le transenne, ti sequestrano una strada e non sai quando te la ridanno. Entrano in ballo una, due, tre soprintendenze».

«Un bagno a cielo aperto»

«Qualche anno fa – ricorda Verdone – un fulmine colpì la statua di Garibaldi al Gianicolo, non so quanti anni ci sono voluti per rimetterla a posto, per tutto quel tempo lì non si poteva più girare una scena». Qualche giorno fa, l’attore aveva speso parole ancora più impietose, definendo Roma «il bagno a cielo aperto di un autogrill». Al Fatto Quotidiano approfondisce il concetto: «Ho sollevato il problema dei gabinetti pubblici, che è sotto gli occhi di tutti. Provi ad affacciarsi per una ventina di minuti da Ponte Garibaldi o da Ponte Sisto, vedrà qualcuno che si cala i pantaloni e lascia un bel ricordo. Glielo garantisco al cento per cento. Mica solo pipì, eh, pure qualche regalo più sostanzioso».

Rifiuti e senso civico

Verdone prosegue: «Dalla mia finestra vedo ragazzi, ubriaconi – romani e turisti – che si nascondono dietro macchine, statue, alberi. Ogni volta che torni a casa, ti devi controllare le suole delle scarpe. È indecoroso, impensabile per le capitali europee “normali”. C’è un concorso di colpa, è chiaro: c’entra pure il senso civico delle persone. Ma cara amministrazione, che ci vuole a mettere dei vespasiani?». L’amministrazione, nel frattempo, ha installato in città nuovi cestini dei rifiuti in vista del Giubileo. Ma hanno presto sollevato polemiche sulla solo presunta inutilità, anche per colpa degli attacchi spietati dei gabbiani.

I gabbiani

«Bisogna porre rimedio – sentenzia Verdone -. Pure il gabbiano è il risultato di una città sporca. Ci sono sempre stati, ma un numero così incredibile non l’avevamo mai visto. E poi i piccioni. Nel nostro condominio non sappiamo più come fare: non vogliamo ammazzarli, poveracci, ma arrivano in gruppo, dieci alla volta, non hanno più paura di nulla; stanno massacrando i nostri balconi. Roma è sporca da troppo tempo e questa è la conseguenza. Guardi, le assicuro che non mi trovo a mio agio in questo ruolo».

«La nostra casa»

Ovvero quello «di chi critica la sua città. Poi mi dicono “hai parlato male di Roma”. Ma come fai? Come ti giri, non vedi più una strada normale. Non c’è un centimetro di muro che sia stato risparmiato. Tag, firme, scritte, brutture, sfregi. Questa città deve essere considerata come la nostra casa. Quando una casa è tenuta bene, quando ci entri stai attento, cammini in un certo modo, ti siedi composto, fumi fuori dalla finestra. Mostri attenzione. Quando una casa è trascurata, invece, ognuno si sente in diritto di trattarla male».

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