«No Nome», il ritorno a sorpresa di Jack White con un disco senza titolo distribuito gratis in 3 città
Un vinile trasparente, dichiaratamente anonimo, dal titolo, appunto, No Name. Questo è quello che un commesso vi avrebbe passato gratuitamente lo scorso 19 luglio se foste capitati a fare acquisti in uno degli store della Third Man Records, che si trovano a Detroit, Londra e Nashville. Nemmeno lui sapeva di che si trattava. Se gli aveste chiesto spiegazioni vi avrebbe risposto semplicemente «Non so, il capo mi ha detto di regalarlo a chiunque acquisti qualcosa». La catena in questione è legata ad un’etichetta di proprietà di Jack White, ex cantante e chitarrista dei White Stripes e No Name è il suo nuovo album solista. Si usa spesso l’espressione «Uscita a sorpresa» per quanto riguarda la nuova discografia, di solito riferendoci a quando, straordinariamente, un album viene semplicemente rilasciato e non spalmato a colpi di singoli per un paio d’anni, ma sorprese di questo tipo nella musica moderna ce ne sono davvero poche. In un’epoca di asmatica ricerca della notorietà, dell’evidenza, della sottolineatura, del nome in grassetto, sorretto da spunte blu certificate, l’assenza, l’invisibilità, rappresentano una vera e propria rivoluzione. Il disco è uscito ufficialmente il 2 agosto con una copertina ideata insieme ai figli: un total blu notte che sembra quasi dipinto a mano, un imbuto dentro il quale tuffarsi senza diffidenza, accolti da quella che è musica e solo musica vuole essere. E questo è in realtà il tema principale riguardante il nuovo disco di Jack White, di sicuro uno dei talenti più vivaci della sua generazione. Un’idea che col passare degli anni si è concretizzata andando ben oltre lo straordinario lavoro insieme all’ex compagna Meg White (alla quale ha «rubato» il suo cognome d’arte). Ben oltre anche quello con i Raconteurs e i Dead Weather, progetti considerati esaltanti da pubblico e critica, d’altra parte parliamo di quello che Rolling Stones USA ha celebrato come il 17esimo chitarrista migliore di tutti i tempi. Tutto ha un significato profondamente artistico. Un lavoro intellettuale, ponderato come purissima espressione del proprio talento.
Jack White parte dal passato, dal vinile, dalla distribuzione peer to peer, libera e gratuita, dal passaparola, da quel meccanismo che in passato costruiva dal basso, con giuste tempistiche e meriti, qualsiasi mito della musica. Anche la direzione artistica dell’opera guarda molto e spudoratamente al passato. È solo il tocco, com’è naturale e giusto che sia, a risultare estremamente nuovo. Anche quando il suo appeal garage si veste di blues (Old Scratch Blues), quando rievoca un rock classico, irremovibile, imponente, molto Led Zeppelin o AC/DC, con perfino qualche richiamo a Jimi Hendrix (Bless Yourself e Tonight (Was a Long Time Ago) e Number One With a Bullet), quando danza su un giro di basso ipnotico (That’s How I’m Feeling), quando le sue chitarre alzano la palla a quello che ci arriva come un rap ruvido e giocoso su Archbishop Harold Holmes, quando affronta la musica con l’entusiasmo pseudopunk lo-fi dei ragazzini (Bombing Out). O quando, è chiaro, riprende quel gusto per l’essenziale, per le pause, per la sottrazione, che hanno fatto la fortuna dei suoi Stripes, in What’s the Rumpus?, la nostra preferita. Questo citazionismo ben poco celato, sempre griffato da una capacità esaltante di far brillare la propria musica, potrebbe anche risultare provocatorio, la volontà di definirsi come uno di quegli artisti che grazie esclusivamente al proprio talento si sono guadagnati un posto fuori dal circo discografico, da questa giostra velocissima che non permette di fermarsi mai un momento per ammirare il panorama. Con No Name Jack White mette un punto a ciò che è e ciò che può essere. Non c’erano molti dubbi su nessuno dei due aspetti, ma per un certo tipo di musica ribadire la propria esistenza è già un atto eroico in sé.
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