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Blitz della polizia israeliana al ministero degli Esteri, i sospetti sul figlio di Netanyahu: l’inchiesta sui passaporti diplomatici

07 Agosto 2024 - 11:37 Redazione
In corso perquisizioni negli uffici di Gerusalemme, dove da settimane alcuni agenti si erano infiltrati sotto copertura

La polizia israeliana ha fatto irruzione negli ufficio del ministero degli Esteri a Gerusalemme nell’ambito di indagine sul rilascio di passaporti diplomatici concessi a persone che non avevano diritto. Il blitz è avvenuto dopo che da settimane era stata avviata l’indagine, con agenti sotto copertura che si erano infiltrati tra i funzionari del ministero degli Esteri israeliano. Secondo Haaretz, tra i passaporti diplomatici concessi sotto inchiesta ci sarebbe anche quello del figlio del premier Benjamin Netanyahu, Yair, che non soddisferebbe i criteri richiesti.

L’inchiesta: il ruolo dell’ex ministro Cohen

Come specifica il quotidiano israeliano, le indagini risalgono a diverse settimane fa. Già a dicembre la testata aveva rivelato che l’ex ministro degli Esteri Eli Cohen aveva ordinato l’emissione di passaporti diplomatici a potenti membri del suo partito Likud, in modo da ingraziarsi alcuni esponenti in una futura elezione alla Knesset, il parlamento israeliano. L’allora ministro aveva però scavalcato i funzionari del ministero che non avevano validato la concessione dei passaporti: i soggetti a cui venivano concessi non soddisfacevano i requisiti richiesti. I criteri di eleggibilità sono stringenti e chi non rientra in questi limiti può ricorrere a un esame da parte di una commissione che può concedere il documento per motivi di sicurezza nazionale o diplomatici. Nel mese di maggio il Ministero, sottoposto a pressioni, ha pubblicato i primi nomi di coloro che godono del passaporto, meno del 3% del totale. Tra questi c’era il figlio di Netanyahu, Yair.

Chi è Yair Netanyahu

La guerra in corso a Gaza, l’attesa dell’attacco congiunto di Hezbollah e Iran mentre il figlio del premier israeliano è in Florida, lontano dal Paese. Queste polemiche hanno accompagnato le scorse settimane le notizie del conflitto in Medio Oriente. Questo perché a molti in patria non era sfuggito lo slittamento della visita di Benjamin Netanyahu al candidato alle elezioni presidenziali Usa Donald Trump. Un incontro che si è svolto a Miami, proprio dove abita il figlio Yair, e che doveva avvenire il giorno prima ma che poi è coinciso con il 33esimo compleanno del suo primogenito. Una coincidenza che ai media non era sfuggita ma che è stata anche giustificata dalla possibilità di rispettare lo shabbat (sabato, il giorno di riposo) e quindi rinviare il rientro la domenica. Non è di certo la prima volta che Yair è al centro delle polemiche. Sui social si era fatto notare per l’aggressività con cui attaccava i rivali del padre, da Soros a Rabin, oltre alla sua vicinanza a figure come Salvini e Orbán. Per volere del padre-premier Yair si è trasferito negli Stati Uniti. Ma a far infuriare in patria sono soprattutto gli stratagemmi con cui il figlio di Bibi, com’è chiamato il premier, avrebbe evitato di prendere le armi. Compiuti i 18 anni, Yair, per rispettare gli obblighi di leva che consentono di richiamare nell’esercito gli israeliani fino ai 40 anni in caso di emergenza, aveva scelto la carriera come portavoce della difesa.

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