Tormentoni estivi a confronto: la top ten degli anni Settanta – La serie

Raffaella Carrà – Tanti auguri (1978)

Tanti auguri porta la firma di Gianni Boncompagni e Daniele Pece e venne composta come sigla del varietà Ma che sera, un percorso discografico già rodato nel tempo ma che mai risulterà altrettanto vincente. La differenza ovviamente la fa lei, Raffaella Carrà, che ai tempi in Italia non si faceva vedere in tv da tre anni a causa di un lungo tour internazionale e una serie di show condotti tra Spagna e Argentina. Nessuno quindi l’aveva mai vista a colori. Cantare sulla prima rete nazionale un brano così smaccatamente celebrativo di una libertà sessuale che rappresentava un inviolabile tabù dell’epoca, era qualcosa che solo il volto amatissimo della Carrà poteva permettersi. In tema di tormentoni, per intenderci, Viola Valentino con Comprami un anno dopo ebbe difficoltà decisamente più articolate. Così le uniche polemiche attorno a Tanti auguri non riguardarono il significato della canzone ma il video, girato tra i palazzi dell’Italia in miniatura, mandato in onda proprio nei giorni del sequestro di Aldo Moro, cosa che molti ritennero non appropriata. Ma Raffaella Carrà era capace di trasformare la televisione in un prodotto emozionante. L’intrattenimento, il varietà, con lei diventano cultura popolare alta, memorabile, iconica e, soprattutto, indistinguibile, la sigla di uno show televisivo, ideata per aprire una parentesi di spensieratezza nella vita degli italiani, che diventa intellettualismo, avanguardia, cronaca anche, un po’ come successo al primo vero esordio discografico, quel Ma che musica maestro!, sigla del Canzonissima del 1970 di Corrado, cantata a pancia scoperta, sconvolgendo il Paese con un ombelico che entrerà negli annali della storia della tv, che mandò in orbita l’audience della Rai, che dinanzi a quei numeri dovette piegarsi e riporre la mannaia. Stessa cosa che accadde negli anni successivi con Tuca Tuca, e poi ancora con Rumore, e poi con A far l’amore comincia tu, e poi con Fiesta, tutti evergreen di una libertà di pensiero rispetto al sesso e alla figura della donna che mai più saranno così dirompenti, che mai più saranno sdrammatizzati con tale classe e disimpegno. «Com’è bello far l’amore da Trieste in giù, l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu», rompe le finestre delle serate di quella primavera italiana, entra nel comune parlare, in particolare quello della comunità LGBTQ+ che in quelle parole negli anni trova conforto, un inno per la loro sempreverde battaglia. Così non a caso quella comunità adotterà ufficialmente Raffaella Carrà come icona per sempre. Tanti auguri diventa una lente curiosamente autentica attraverso la quale guardare all’Italia, da sempre incastrata tra il perbenismo di facciata e una voglia di libertà sotto ogni profilo che brucia sotto. Quella canzone della Carrà, che diventerà il suo più importante successo discografico, smascherava un Paese che, catturato da un brano dal punto di vista melodico accattivante come pochi, se la ballava facendo finta di non comprendere cosa celasse quell’irresistibile leggerezza. Un vero miracolo musicale.