Ponte Morandi, per il processo si arriverà a una sentenza non prima del 2026. I parenti delle vittime: «I colpevoli liberi, noi all’ergastolo»
«I colpevoli sono liberi, l’ergastolo lo abbiamo noi genitori». Queste le parole a Repubblica Genova di Paola Vicini, la mamma di Mirko, l’ultimo a essere trovato fra le macerie del ponte Morandi. A sei anni dalla tragedia chiede verità e giustizia perché «è già passato troppo tempo». Paola perse suo figlio, trentenne, lavoratore con contratto stagionale. Un verdetto sul maxi processo potrebbe arrivare, forse, solo nel 2026. «Noi familiari da quel giorno non viviamo più. I tempi della giustizia italiana sono troppo lunghi. I colpevoli continuano a fare la loro vita, si godono i loro affetti. E noi? Pensano a fare tante riforme sulla giustizia ma nulla è cambiato. Ci sono delle persone anziane che vorrebbero vedere la fine di questa storia, che hanno perso dei figli anche loro». Con l’ipotesi di una nuova perizia i tempi rischiano di allungarsi ulteriormente. «Le stanno provando tutte – sottolinea Paola Vicini – per allungare i tempi del processo. Sperano nella prescrizione. Però le carte parlano chiaro: emerge la mancata manutenzione. Anche la Corte dei conti sta facendo dei controlli, hanno incassato cifre esorbitanti e la manutenzione è stata pari a zero».
«Per l’Inail non ci sono risarcimenti ai familiari dei ragazzi morti sul lavoro anche se non più a carico: ho scritto alla ministra Calderone. Nemmeno una risposta»
«Vorrei che il 14 agosto fosse una data meno dimenticata perché, a parte l’anniversario, c’è silenzio intorno a questa immane tragedia. L’Italia, nuovamente, ha dimostrato di essere una nazione dove il denaro è la cosa più importante rispetto al resto. Ci sono tante cose legate a questa vicenda che hanno fatto emergere grossissime ingiustizie di cui non si parla», spiega. «Inail, per esempio, non riconosce alcun risarcimento ai familiari dei ragazzi che muoiono sul luogo di lavoro se non sono a carico. Si tratta di ragazzi che versano i contributi per anni e non vedo perché questa norma non debba essere modificata. Ho scritto al ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone e non ho avuto una risposta. Nemmeno un “non mi interessa”, “non mi disturbi”. Solo silenzio. Non si tratta, me lo lasci precisare, di una questione economica ma di rispetto verso la persona che non c’è più e nel momento in cui è mancata stava lavorando. Non è l’unico Mirko, la mia battaglia è anche per tutti gli altri ragazzi morti sul lavoro».
Quel maledetto 14 agosto
Paola ricorda ancora quella dannata giornata. E l’ultima volta che ha visto suo figlio. «Alle 5,30 – racconta . quando ha chiuso la porta per andare a lavorare. Ho cominciato a chiamare quando pioveva forte. E poi ho rivisto qualcosa di lui il 18. Ho passato cinque giorni lì. Sapevo in cuor mio che non l’avrei ritrovato vivo ma dovevano restituirmelo». «In questo momento – racconta – ho un alito di vento che sembra strano in questa giornata di calore, lo sento mio figlio. Lo cerco ovunque: nel volo di una farfalla che mi si posa sulla spalla, in un rumore inaspettato, io so che lui è vicino a me. Ecco adesso è arrivata una farfalla: magari si può pensare che io veda le cose come le voglio vedere. Ma questo mi fa aggrappare alla vita».
(in copertina foto Giuseppe Altadonna (SX) e la madre di Mirko Vicini, Paola Vicini (DX), dopo il rinvio a giudizio degli indagati per il crollo di Ponte Morandi, Genova, 07 aprile 2022. ANSA/LUCA ZENNARO)
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