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Udine, il sindaco di Lusevera dona 35 frigoriferi al carcere. «Un modo per sdebitarmi: anche io finii dietro le sbarre negli anni Ottanta»

16 Agosto 2024 - 12:52 Redazione
Mauro Pinosa trascorse otto giorni dietro le sbarre a causa di un'irregolarità nel porto d'armi

Mauro Pinosa, imprenditore di Villanova delle Grotte e, dallo scorso giugno, sindaco di Lusevera, Comune di 600 abitanti della provincia di Udine, ha partecipato all’iniziativa Un frigo per ogni cella, che grazie alla raccolta di 5.250 euro ha potuto acquistare 35 frigoriferi per dare un po’ di refrigerio alle persone recluse nella casa circondariale del capoluogo friulano. La scelta di aderire non deriva da semplice filantropia, ma anche da un trascorso personale: Pinosa infatti trascorse 8 giorni in carcere nel febbraio del 1980, a causa di un’irregolarità nel porto d’armi. «Non appena liberato mi ripromisi di fare qualcosa per quel carcere», ha raccontato.

Empatia

Nel corso della sua breve detenzione, infatti, ha raccontato di essersi imbattuto in un’imprevista solidarietà umana, che lo ha aiutato ad affrontare quei giorni non facili. «Rimasi in via Spalato soltanto 8 giorni, ma mi bastarono per capire cosa vuol dire essere privati della libertà – racconta Pinosa a Repubblica -. Scoprii un mondo diverso, che non avrei mai immaginato di conoscere. Ero terribilmente avvilito, ma i compagni con cui dividevo la cella non smisero mai di confortami». L’iniziativa «Un frigo per ogni cella» è stata promossa dal garante dei detenuti di Udine, insieme alle associazioni La Società della Ragione e Icaro Volontariato Giustizia.

La vicenda

L’imprenditore, nello specifico, era finito dietro le sbarre per colpa di una pistola da tiro a segno, quella con cui continua a sparare ancora oggi. «Era ed è la mia grande passione – ha raccontato –. L’avevo appena comprata e, non vedevo l’ora di andare al poligono a provarla. A due mesi di distanza da quando avevo portato tutti i documenti per il rinnovo del porto d’armi in Questura, a Udine, telefonai all’ufficio armi per sapere a che punto fosse la pratica e mi fu risposto che era tutto a posto e che mancava solo il visto del responsabile per consegnarmi la documentazione. Questione di ore, insomma».

L’arresto

E a questo punto, il passo falso: «Il sabato mattina richiamai, ma non rispose nessuno. Essendo stato rassicurato sulla regolarità delle carte, decisi comunque di andare al poligono di Udine – ricorda –. Lì, consegnai l’arma per il consueto controllo di polizia e fornii anche copia dei documenti portati in Questura. Ottenuto il via libera, mi dedicai ai tiri. Alla fine della gara, però, lo stesso poliziotto mi disse che doveva portarmi in Questura, perché, non avrei dovuto muovermi da casa con la pistola senza avere ricevuto il porto d’armi. Questo, mi disse, mi sarebbe costato una contravvenzione. Ma andò peggio».

Il processo

«In Questura – continua –si presentò un anziano poliziotto che, mortificato, mi spiegò che in quel frangente – era il periodo della Brigate Rosse: qualche giorno più tardi avrebbero ucciso Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura – le disposizioni sui controlli di armi e porto d’armi erano rigidissime e che, di conseguenza, era costretto a portarmi in carcere. Mi crollò il mondo addosso». Fece infatti seguito il processo per direttissima e la condanna a 4 mesi con la condizionale e la non menzione. Oltre al sequestro dell’arma, ma con liberazione immediata.

La colletta

«In appello, a Trieste, fui assolto con formula piena, con le scuse del Tribunale – afferma Pinosa –. Ricordo ancora le parole del pubblico ministero, che chiese l’assoluzione ‘perché questo giovane – disse – abbia fiducia nella giustizia italiana’». Non ha tuttavia dimenticato quello che gli capitò. Né il periodo in carcere: «Il tempo, poi, è passato. Qualche mese fa chiesi l’autorizzazione per poter visitare il carcere, ma la burocrazia è complessa e alla fine lasciai perdere. Quando però ho saputo della colletta per i frigoriferi – ha concluso –, ho pensato che fosse l’occasione ideale per onorare l’impegno che mi ero preso all’epoca».

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