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Alex Marangon, il mistero sulle sospette macchie di sangue nell’auto. Gli sciamani pronti a parlare solo ora coi carabinieri: cos’è successo alla festa

Alex Marangon
Alex Marangon
Dopo oltre un mese e mezzo, tutti i partecipanti alla festa hanno fornito la stessa versione di quel che è successo la notte in cui è scomparso il 25enne. Ma dal loro racconto non si spiega la presenza di ferite da «pestaggio» sul corpo del ragazzo

Sono state trovate alcune macchie all’interno dell’auto di Alex Marangon, il 25enne scomparso la notte del 30 giugno durante un ritrovo di seguaci di un gruppo sciamanico, e ritrovato morto due giorni dopo su in isolotto nel fiume Piave a qualche chilometro più a valle. I legali della famiglia del barman hanno chiesto e ottenuto nuove analisi sugli interni dell’auto, rimasta finora ai margini dell’inchiesta. Il mezzo non era mai stato sequestrato finora ed era rimasto parcheggiato all’esterno dell’abbazia di Vidor, in provincia di Treviso, dove si era svolta la festa. Dopo oltre un mese e mezzo, i due curanderos colombiani avrebbero deciso di dare la propria versione dei fatti agli inquirenti.

Le tracce di sangue nell’auto

La tracce trovate all’interno dell’auto di Marangon sembrerebbero macchie di sangue, secondo quanto riporta il Corriere della Sera. Un chiarimento potrà arrivare solo dopo le analisi degli inquirenti, che dovranno confrontarle anche con altri elementi raccolti all’interno dell’abbazia.

La memoria dei due sciamani

Nei prossimi giorni per la prima volta i due curanderos colombiani, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, potrebbero spiegare ai carabinieri che cosa sia successo alla festa sciamanica nella notte tra il 29 e il 30 giugno scorso. Il loro avvocato, Oscar Palet Santandreu, avrebbe intenzione di presentare agli inquirenti una memoria scritta di loro pugno. Una versione su cui i due sciamani hanno avuto parecchio tempo per riflettere, restando anche in contatto con chi aveva partecipato alla festa.

«L’ipotesi dell’omicidio non ha senso»

L’avvocato dei due curanderos ha anticipato al Corriere il contenuto di quella memoria, di cui però vuole discutere meglio con i suoi clienti prima di andare dai carabinieri. «Tutti i partecipanti stanno dichiarando la stessa cosa, crediamo che la verità stia nelle parole di chi era presente». Secondo i due sciamani l’ipotesi dell’omicidio «non ha alcun senso, quella sera c’erano un gruppo di persone vicine al fuoco, Alex si è allontanato per andare in giardino, Jhonni (Benavides) è andato con lui, ma non capiva quello che diceva, quindi è entrato in abbazia per chiedere l’intervento del traduttore, quando è uscito di nuovo Alex si era allontanato».

Non sono scappati

I due sciamani negato di essersi dileguati la mattina del 30 giugno, quando erano iniziate le ricerche di Marangon. «Non è vero che i due miei assistiti siano scappati la mattina presto – spiega l’avvocato – sono rimasti all’abbazia fino alle 11, a disposizione di chi volesse parlargli». Quel giorno però nessuno avrebbe interrogato i due colombiani.

Il mistero delle ferite non spiegabili con la caduta

I due sciamani insistono nel dire che quella sera non era stata usata l’ayahuasca, l’erba che provoca effetti psicotropi fino alle allucinazioni. Tutti i venti partecipanti alla cerimonia hanno confermato la versione dei due organizzatori, Andrea Zuin e la compagna Tatiana Marchetto. I due avevano racontato che Marangon «a un certo punto si sarebbe alzato dal cerchio, si sarebbe messo a urlare e a correre verso la terrazza… poi abbiamo sentito un tonfo». L’autopsia però aveva indicato che Marangon aveva ferite sul corpo compatibili con un pestaggio, non con una caduta. Il sospetto degli inquirenti è che quella sera tutti fossero particolarmente alterati e gli inquirenti non escludono che comunque tutti abbiano assunto l’ayahuasca, compreso Marangon che lo aveva già fatto in passato.

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